Recensione
12 anni schiavo – Recensione: Steve McQueen riesuma la storia vera di Solomon Northup
Se dopo “Hunger” (2008) e “Shame” (2011), il nome di Steve McQueen vi faceva ancora pensare esclusivamente al biondissimo interprete americano amante dei motori, “12 anni schiavo” (2013) non potrà che marchiare per sempre questo nome, nella vostra mente, anche con una nuova connotazione, quella del talentuoso regista britannico, deciso a imporsi nel panorama del cinema internazionale.
“12 anni schiavo”, terzo lungometraggio di McQueen è difatti anche il suo Miglior Film finora realizzato, premiato con ben tre Oscar (Miglior Film, Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale). Il soggetto di “12 anni schiavo” si basa sull’omonimo romanzo autobiografico di Solomon Northup, musicista afro-americano nato libero nello Stato di New York e rapito e venduto come schiavo al Sud nel 1841. Come anticipa il titolo, questa condizione di sottomissione e violenze fisiche e mentali dura più di un decennio: dodici anni spesi a combattere per ritornare dall’amata moglie e dagli adorati figli, ma anche per ritrovare se stesso
Lo schiavismo degli afro-americani affrontato in “12 anni schiavo” è forse uno dei capitoli più bui della storia degli Stati Uniti. Se l’ironia di Quentin Tarantino in “Django Unchained” smorzava gli aspetti più crudi del suo film e Lee Daniels con The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca” raccontava una storia affascinante ma un po’ fiacca, il realismo di Steve McQueen non fa sconti e colpisce nel profondo la sensibilità di ogni spettatore.
Il cineasta affida il compito di sceneggiare la pellicola all’ottimo John Ridley e affina al massimo il suo talento di narratore di storie scomode.
12 anni schiavo: la violenza disturbante della realtà
Non manca lo stile pungente dei suoi precedenti lavori, ma “12 anni schiavo” è una pellicola meno disturbante di “Hunger” e “Shame”, per l’assenza di quella ripetitività di scene molto dure che metteva alla prova la resistenza dello spettatore. La vera, tragica vicenda di un uomo che si vede portare via la propria libertà, e con essa la vita stessa, è già violenta a tal punto da non lasciare a Steve McQueen la possibilità di girare il coltello nella piaga.
Pur non mancando di momenti di violenza fisica nei confronti degli schiavi, di “12 anni schiavo” turba ancor di più il processo di disumanizzazione a cui fino a poco più di un secolo fa erano sottoposti gli afro-americani: venivano considerati inferiori non solo agli uomini, ma persino agli animali; erano visti come oggetti da utilizzare fin quando si fossero rivelati utili, da spremere finché non vi fosse rimasto più nulla da succhiare. La maggior parte di loro non aveva nemmeno idea che fuori dai campi di cotone potesse esistere una vita orientata dal libero arbitrio, un mondo in cui fosse possibile lavorare per se stessi e per una famiglia propria; la maggior parte di loro si vedeva con gli occhi degli schiavisti.
Ma non Solomon. Lui che era istruito, che fino a quel momento aveva avuto un’esistenza piena, non si rassegnò nemmeno per un attimo alla sopravvivenza. Lui sapeva di non essere un animale e, nonostante avrebbe scelto la morte piuttosto che la rinnegazione di se stesso, si rivelò capace anche di fingere e mentire pur di salvare la pelle e continuare ad alimentare la speranza di un ritorno alla vita.
Chiwetel Ejiofor, che finora aveva recitato solo in ruoli minori, è un protagonista di ferro, perfettamente in grado di tenere sulle proprie spalle la scena e confrontarsi con un grande interprete quale Michael Fassbender, che veste i panni del crudele negriero, proprietario di Solomon. Da sottolineare è anche l’ottimo debutto sul grande schermo della minuta ma forte Lupita Nyong’o, che, battendo mille candidate, ha ottenuto il ruolo della sfortunata Patsey, oggetto del continuo desiderio del padrone che l’ha schiavizzata. Tre interpretazioni accurate e sentite che sono valse agli attori una candidatura all’Oscar ciascuno.
In “12 anni schiavo” appaiono in ruoli minori anche il famoso Sherlock dell’omonima serie britannica, Benedict Cumberbatch, e Brad Pitt, anche e soprattutto produttore della pellicola.
Difficile, quasi impossibile trovare qualcosa per cui biasimare Steve McQueen davanti a un lavoro tanto riuscito. “12 anni schiavo” è una pellicola potente e commovente che va dritta al cuore e che apre gli occhi sulla superficiale conoscenza che si ha dello schiavismo.
Corinna Spirito
Trama
- Titolo originale: 12 Years a Slave
- Regia: Steve McQueen
- Cast: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti, Lupita Nyong’o, Sarah Paulson, Brad Pitt, Alfre Woodard, Scoot McNairy, Taran Killam, Garret Dillahunt, Michael K. Williams, Quvenzhané Wallis, Ruth Negga, Bryan Batt, Chris Chalk, Dwight Henry, Anwan Glover, Marc Macaulay, Mustafa Harris
- Genere: Biografico, colore
- Durata: 134 minuti
- Produzione: USA, 2013
- Distribuzione: Bim Distribuzione
- Data di uscita: giovedì 20 febbraio 2014
L’ultima fatica di Steve McQueen è un film che ci riporta all’era in cui la schiavitù era una prassi negli Stati Uniti d’America.
Tratto da una storia vera, quella di Solomon Northup che nel 1853 pubblica una sua autobiografia, narra la storia di uno sfortunato musicista di colore di Saratoga Springs (New York) prepotentemente portato via con l’inganno dalla sua tranquilla famiglia e privato dei suoi documenti di identità per essere venduto come schiavo in Louisiana.
Il titolo si riferisce agli anni di reclusione ai lavori forzati nei campi di cotone che Solomon (Chiwetel Ejiofor) è costretto a sopportare, troppo spesso obbligato ad abbassare la testa di fronte al suo psicopatico schiavista Edwin Epps, interpretato da Michael Fassbender, un uomo dalla frusta facile e dai toni rudi. Tra soprusi e violenza, molta violenza, sia fisica che psicologica, subita dal circolo di schiavi nelle immense piantagioni della Louisiana, Solomon trascorre dodici interminabili anni, ottenendo degli esigui privilegi solo grazie al suo fidato violino, unica consolazione nei molteplici momenti di sconforto.
Solomon rimane per 12 anni, fino al 1853, in una crudele prigione: fra atti di violenza, soprusi, ingiustizie e torture deve cercare di sopravvivere ma sopratutto di non perdere la sua dignità. Dopo aver quasi perso ogni speranza di salvezza, il destino gli fa incontrare abolizionista canadese Samuel Bass che lo aiuterà a rintracciare la sua amata famiglia e a riconquistare la sua legittima libertà.
12 anni schiavo: una vera storia di libertà e dignità
Steve McQueen ancora una volta porta sul grande schermo la storia di un uomo, di un corpo costretto a subire la violenza del mondo. Con “12 anni schiavo” il regista ha deciso di superare se stesso, raccontando la storia vera di un uomo che ha vissuto, nella seconda metà del’800, il vero dramma dello schiavismo. Il film spinge al limite lo spettatore, portandolo a interrogarsi su cosa sia veramente la libertà ma soprattutto sulla dignità umana: il protagonista è un esempio di forza e di coraggio perchè Solomon combatterà fino alla fine con tenacia, determinazione e speranza per poter riabbracciare i suoi cari e, nonostante sia sottoposto alle torture fisiche e mentali più atroci non rinuncerà mai al rispetto di se stesso.
Tante pellicole hanno trattato il tema dello schiavismo ma McQueen ha scelto di adottare una linea originale e un punto di vista unico per parlare dell’argomento: la storia vera di un uomo privato di tutti i suoi diritti che ha vissuto in ogni centimetro del suo corpo e della sua menta il dramma dell’essere uno schiavo. “12 anni schiavo” è una narrazione che ha radici nella storia: non un semplice intrattenimento ma una vera e propria testimonianza che ha restituito voce all’esperienza di Solomon Northrup, uno dei migliaia di neri che hanno subito le atrocità dello schiavismo.
Trailer