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Una Vita, Une Vie

Recensione

Una Vita, Une Vie – Recensione: un documento intimista

Una Vita, Une Vie film

Ci sono molte cose da dire su “Una Vita, Une Vie”, diretto dal regista francese Stéphane Brizé. Si partirà subito dal raffronto degli aspetti tecnici, di cui solitamente si parla solo alla fine, in quanto per questo film è particolarmente evidente come l’estetica sia estremamente funzionale alla poetica. La programmaticità e l’efficacia degli espedienti tecnici sono infatti basilari per creare le due dimensioni proprie della pellicola: quella documentaristica e naturalistica da un lato, quella intimista e psicologica dall’altro.

La finestra attraverso la quale il regista decide di mostrarci la “Una vita, un vie” è il formato pressoché quadrato del 4:3, che rinchiude da subito lo spettatore nella vita della protagonista Jeanne, limitando e concentrando il suo sguardo unicamente sul suo mondo e nei meandri della sua psiche, senza alcuna via di scampo.
Anche il suono in modalità Mono, unitamente all’amplificazione estrema e alla nitidezza dei rumori della natura e dei respiri, introducono abilmente gli stati d’animo di Jeanne.

D’altro canto, la scelta di una fotografia non patinata, distante dall’immaginario collettivo delle pellicole in costume; lo sforzo documentarista testimoniato dall’uso della telecamera a spalla; le capigliature e i vestiti scomposti, animati e ‘sporcati’ letteralmente dalla vita, addentrano ancor di più lo spettatore in questa tranche de vie di durata trentennale di una giovane donna aristocratica dell’Ottocento. In questo senso il film ricorda in qualche misura l’horror “The Witch”, quanto mai distante per contenuti, ma che appare vicino per la raffigurazione di un’epoca passata che non è leziosa, ma vivida, vissuta e abitata nei suoi spazi.

Il naturalismo, dunque, non è ricercato adottando gli strumenti tipici del Neorealismo – non ci sono lunghi piani sequenza – e si avvicina piuttosto nelle intenzioni all’estetica di Pasolini, il quale dava una significazione naturalistica allo strumento del montaggio e all’iconografia. Ma Brizé non è neppure, in alcun modo, pasoliniano: lo diviene solo nella misura in cui decide di amplificare innaturalmente gli elementi naturali, proprio allo scopo di renderli tali. Un clavicembalo accompagna gli istanti in cui Jeanne ricorda gli anni passati, i momenti rilevanti della sua vita, cui si passa grazie all’uso di ellissi, senza però il bisogno di un oggetto fisico che consenta di traforare lo spazio-tempo, senza insomma alcuna “madelaine”, ma solo grazie ai polmoni del cinema: il montaggio e la musica.

“Una vita, Une Vie”: la vittima e il carnefice

Una Vita, Une Vie immagineJeanne è vittima, ma non ci può essere vittima senza un carnefice, che nel film è incarnato dal marito fedifrago Julien (Swann Arlaud). Ma quasi sempre è proprio la vittima a consentire al carnefice di divenire tale: il suo ruolo, apparentemente speculare, diviene così altrettanto brutale. Il figlio di Jeanne diviene a sua volta un carnefice della madre proprio perché lei glielo consente e, in prima battuta, perché lei lo educa a proteggersi dalla vita e lui reagisce facendo pagare alla madre la reclusione interiore cui lo ha costretto.

Il rischio, nel raccontare la storia di un’eroina o di un eroe ottocentesco che subisce e non reagisce, è quello di trasformare il personaggio in una vittima, un martire, un santo, una madonna. Tale rischio è fugato dal regista e, soprattutto, dall’attrice Judith Chemla – che ci regala un’interpretazione magistrale – grazie alla costruzione di un personaggio vero e, perciò, detestabile. Lungi dall’essere la santa che porge l’altra guancia forgiandosi della sua bontà d’animo, Jeanne sembra covare rabbia e rancore: è una personalità passivo-aggressiva, come si vede ad esempio dalle battute velate di acrimonia lanciate a Rosalie, e nei suoi pochi ma estremamente furiosi e incontrollati scatti d’ira, lungamente repressi nella sua psiche.

È forse proprio questa una lama a doppio taglio del film, poiché se da un lato Brizé ci riconsegna una persona vera e non un personaggio, dall’altro questa scelta, paradossalmente, non consente allo spettatore di empatizzare appieno con Jeanne, perché si sa, le personalità passivo-aggressive sono poco appetibili e attraenti per chiunque. E se lo spettatore prova a cercare l’immedesimazione catartica-aristotelica in altri personaggi, allora egli non trova alcuno spazio, poiché il film ha il focus assolutista e assolutizzante del punto di vista di Jeanne.

In conclusione, si può affermare che “Una vita, une vie” è un film pienamente riuscito, ma che emotivamente rischia di non lasciare spazio allo spettatore, chiuso com’è in una storia da cui non può uscire nemmeno un istante.

Marta Maiorano

Trama

  • Titolo originale: Une Vie
  • Regia: Stéphane Brizé
  • Cast: Judith Chemla, Jean-Pierre Darroussin, Yolande Moreau, Swann Arlaud, Nina Meurisse
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 119 minuti
  • Produzione: Francia, Belgio 2016
  • Distribuzione: Academy Two
  • Data di uscita: 1 giugno 2017

Una Vita, Une Vie posterIl film “Una Vita, Une Vie” del regista francese Stéphane Brizé, è ambientato nell’affascinante terra di Normandia nel 1819, durante la caduta dell’Ancien Régime. La protagonista è la giovanissima Jeanne, figlia dei baroni Le Perthuis des Vauds, che si innamora e sposa il nobile decaduto Julien de Lamare. Dopo le prime forti delusioni d’amore, in cui Julien si rivelerà un incorreggibile adultero, Jeanne sarà costretta ad affrontare anche una gravidanza extraconiugale, che porterà il marito a diventare padre del figlio della domestica di famiglia. La protagonista, rimasta anche lei incinta, decide però di perdonare il marito, inconsapevole del fatto che presto una nuova tragedia finanziaria, materiale e affettiva, travolgerà di nuovo la sua esistenza.

Con “Una Vita, Une Vie”, adattamento del primo romanzo di Guy de Maupassant, il regista concentra lo sguardo dello spettatore, ancora una volta, sulle difficoltà del quotidiano. L’emotività dei personaggi è presa in esame con particolare attenzione, attraverso un continuo scorrere d’immagini; la protagonista affonda nei suoi pensieri vivendo tra malinconici ricordi, immersa in incantevoli paesaggi bucolici che fanno da cornice ad un cupo dramma interiore.

Una Vita, Une Vie: il punto di vista della protagonista

L’io narrativo del film è esclusivamente quello di Jeanne che si muove, attraverso il proprio flusso di pensieri, in avanti e indietro nel tempo.

Al contrario della versione letteraria, che segue una struttura narrativa prettamente lineare, “Una Vita, Une Vie” è una costante finestra sul passato, fatto di continui flashback in cui la protagonista cerca di trovare la cura ad un amore deludente e al continuo sgretolarsi delle proprie certezze.

L’attrice Judith Chemla – formatasi nel cuore della Comédie Française, perfetta e memorabile nel ruolo, mostra una sensibilità straordinaria e incarna con trasporto il carattere di una donna esasperatamente aggrappata al sentimento amoroso per un marito, che non la ricambia, e a un figlio – non suo – che adora in modo quasi ossessivo. La donna lentamente si spegne in un mondo vuoto, in cui non c’è spazio per la purezza del sentimento.

Trailer

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