Twin Peaks 3×11: una puntata con tanti elementi che ci riportano a “Fuoco cammina con me”
Sono tre i filoni che caratterizzano questo undicesimo episodio di “Twin Peaks”, divisi in tre luoghi diversi: Twin Peak, Las Vegas e il Sud Dakota.
A Twin Peaks continuano le disavventure private di Becky, figlia di Shelly e Bobby, una famiglia non propriamente felice. Fa la parte del leone il poliziotto di origine indiana Hawk che comincia a unire in una trama unica i fili sottili degli indizi lasciati dal Maggiore Briggs, che trovano un senso grazie a una vecchia mappa. In essa c’è il fuoco e il mais, simboli che già conosciamo in “Fuoco cammina con me”; tutti uniti portano ad una inquietante immagine di un fuoco nero che promette grandi sorprese.
Tira una brutta aria anche in South Dakota, dove la squadra capitanata da Gordon Cole scopre il portale tra i due mondi di cui aveva parlato il William Hastings accusato ingiustamente di omicidio in uno dei primi episodi. Tra buchi neri, che rischiano di risucchiare Gordon Cole, preso in tempo da Albert, e ombre che appaiono e scompaiono, il personaggio di Diane comincia a delinearsi piuttosto bene.
Infine, a La Vegas i due fratelli gestori del Casinò, interpretati da Jim Belushi e Robert Knepper, si rivelano insieme a Dougie/Dale come delle figure surreali e ironiche, quanto mai amanti delle stranezze.
Twin Peaks 3×11: nuovi dettagli e rivelazioni per una trama che avanza
“There is fire where you are going”… è la singolare affermazione della Signora Ceppo in una brevissima conversazione telefonica con Hawk. A quanto pare le tende rosse della Loggia Nera non sono così lontane, anzi, appaiono, anche se solo per un minuto a Las Vegas per attirare Dougie/Dale e farlo uscire con una scatola misteriosa, che gli salverà la vita. Siamo tutti in attesa di vederlo nuovamente in azione e non più allucinato come adesso.
Eppure sembra che Mr. Lynch non abbia fretta e voglia farci faticare per rivederlo in forma. In compenso, l’atmosfera che caratterizza l’undicesimo episodio di “Twin Peaks” è quanto mai nera e disturbante. Colpisce, infatti, dritto al cuore dello spettatore l’immagine di una ragazzina malata che sembra posseduta che appare solo per un attimo in una macchina. Al contrario, è molto brillante la performance dei due delinquentelli di Las Vegas che ricordano tanto, e non casualmente, i Blues Brothers.
Come al solito, il regista si autocita e nel deserto del Nevada ripreso dall’alto rivediamo in un qualche modo le strade bruciate di “Cuore selvaggio”, con una allora giovanissima Laura Dern; proprio lei, che dopo tanti anni continua a giocare con il fuoco con una eterna sigaretta in bocca nei panni di Dianne, solo evocata venticinque anni fa.
Nella sua piena evoluzione la creatura di Lynch/Frost si conferma come un progressivo distacco dal senso comune, in cui facilmente ci si può perdersi.
Ivana Faranda
25/07/2017