Recensione
Nico, 1988 – Recensione: ritratto di Christa
Una bambina che osserva l’orizzonte rossastro dipinto dalle bombe di una Berlino ormai ridotta a un cumulo di macerie: è questa la prima immagine di “Nico, 1988”, terzo film della regista Susanna Nicchiarelli dopo “Cosmonauta” e “La scoperta dell’alba”. L’infanzia sarà uno dei leit-motiv nei pensieri della protagonista Christa Päffgen, in arte Nico, ex musa di Andy Warhol e conosciuta dal grande pubblico per la collaborazione con i Velvet Underground e per la sua relazione con Brian Jones, membro dei Rolling Stones, morto giovanissimo in circostanze misteriose.
“Nico, 1988” non si sofferma sugli anni più noti della star, riconducibili agli inizi della sua carriera – che lei non intende rievocare e di cui non prova affatto nostalgia -, ma indaga sull’ultimissimo periodo, in cui la sua fulgida bellezza è sfiorita e la dipendenza dall’eroina la rende schiava di sbalzi d’umore e fantasmi del passato. Non è più Nico, non è più la star del Chelsea Hotel, ma è semplicemente Christa, una donna con le sue contraddizioni, le sue fragilità, ma capace ancora di mettere tutta se stessa nelle proprie esibizioni, nelle parole delle sue canzoni così come nel coinvolgimento emotivo sul palco. Non è solo una cantautrice, non è solo colei che ha precorso le sonorità tipiche di band di ispirazione dark come i Bauhaus, i Joy Division o i primi Cure, ma è anche una donna che, alla soglia dei cinquant’anni, cerca di riallacciare un rapporto madre-figlio col giovane e problematico Ari, strappato a Christa quando il piccolo aveva solo quattro anni. “La cosa più importante che puoi imparare è amare ed essere amato alla stessa maniera”, canta Nico subito prima di incontrare suo figlio, in uno dei momenti più emozionanti del film.
La sua voce sgraziata, ruvida, dissonante accompagna lo spettatore in un viaggio dentro la sua anima, un territorio impervio e disarticolato in cui coesistono dolore, delusione, frustrazione, ma anche amore, compassione e voglia di esprimere il proprio mondo interiore senza tradirsi.
Nico, 1988: un biopic che sorprende
Trine Dyrholm, attrice danese tra le migliori nel panorama europeo, sfodera una prova recitativa più che convincente, ricca di sfumature e perfettamente funzionale nel raffigurare una donna complessa ma amante delle cose semplici, volgare ma comunque raffinata, tormentata ma probabilmente mai così felice. La sua Nico è scontrosa, irascibile, intrattabile, ma non si può fare altro che provare empatia nei suoi confronti, un’empatia che riconosce la statura umana della figura di Christa e la grandezza di un’interpretazione frutto di un attento lavoro di ricerca e rielaborazione del personaggio. Da segnalare, inoltre, una apprezzabile capacità vocale della Dyrholm, in questo caso “sporcata” ad hoc per rendere al meglio il timbro inconfondibile della “Sacerdotessa delle Tenebre”.
Se la cavano bene anche gli altri membri del cast, tra cui spicca John Gordon Sinclair nei panni del timido manager Richard, uomo schivo ed estremamente paziente nonché uno dei pochi a comprendere la vera bellezza interiore di Christa insieme a Domenico, interpretato da Thomas Trabacchi.
La regia della Nicchiarelli si dimostra attenta a restituire un biopic non celebrativo ma nemmeno denigratorio, con una cura formale e fotografica che non distrae dallo spessore della sceneggiatura, ma che anzi col formato quadrato dell’aspect ratio ci aiuta a carpire l’anima dei personaggi (e di Nico in particolare) stando addosso a loro ed evitando di dare un “respiro epico” allo svolgimento del film. Il montaggio di Stefano Cravero, interponendo colorate e caotiche immagini in Super 8 risalenti ai tempi della Factory di Warhol, ci aiuta a prendere le distanze da quell’epoca così come fa spesso Christa per buona parte della pellicola, mentre gli arrangiamenti delle canzoni di Nico a opera dei Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo sembrano non tradire affatto le cupe sonorità originarie.
Francesco Caiazza
Trama
- Regia: Susanna Nicchiarelli
- Cast: Trine Dyrholm, Anamaria Marinca, Fabrizio Rongione, Sandor Funtek II, Karina Fernandez, Cavlin Demba, John Gordon Sinclair
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 93 minuti
- Produzione: Italia, Belgio, 2017
- Distribuzione: I Wonder Pictures
- Data di uscita: 8 marzo 2018
“Nico, 1988″, presentato al Festival di Venezia 2017 nella sezione Orizzonti, è il terzo lungometraggio di Susanna Nicchiarelli che sceglie la via del biopic, puntando l’attenzione su un’icona intramontabile: Nico.
Durante l’ultimo periodo di vita, Nico, nome d’arte della bellissima Christa Päffgen – fonte d’ispirazione di Warhol e cantante dei Velvet Underground – vede la sua esistenza sdoppiarsi.
“Nico, 1988” prende in esame il periodo degli anni ’80, quando la “sacerdotessa delle tenebre” si trova ad affrontare gli ultimi concerti con la sua band ed entra a far parte della vita di suo figlio, sottrattole quando il piccolo aveva solo quattro anni.
Nico, 1988: il peso dell’infanzia nella vita
Un’infanzia molto difficile e dolorosa che porta le persone a crescere: questo è il tema principale da cui parte la regista, Susanna Nicchiarelli, in “Nico, 1988”, cogliendo le molteplici sfaccettature del carattere della star.
“Nico, 1988” mostra nelle sue prime immagini una Berlino in fiamme osservata da lontano da una Christa nel suo periodo infantile, da cui si svilupperà la futura personalità della protagonista, ponendo le basi artistiche che la caratterizzeranno e nella quale saranno sempre presenti i tremendi ricordi della fame vissuta all’epoca.
In un periodo in cui la discomusic è il genere più in voga, Nico si allontana dall’ombra dei Velvet Underground e intraprende la sua carriera da solista, nonostante faccia parte della controtendenza musicale di quegli anni.
Nello stesso tempo, si trova di fronte a due problemi: la dipendenza dalla droga, in particolare eroina, e l’affrontare rimorsi mai scomparsi che derivano dalla separazione dal figlio Ari. La scelta di Nico è quella di avvicinarvisi lentamente, conoscendolo per gradi.
Trailer