“Blade Runner 2049” è un film con una grande ambizione: rimanere fedele al suo predecessore pur costituendo una novità entusiasmante per il pubblico. Denis Villeneuve è riuscito nell’impresa e ha svelato i segreti del suo incredibile successo.
Blade Runner 2049: una sfida difficile, ma non impossibile
Decidere di realizzare il sequel di un film che ha fatto la storia del cinema non è affatto impresa semplice; la possibilità di deludere le aspettative del pubblico è molto alta, ma lo straordinario regista Denis Villeneuve non teme le sfide ed è riuscito comunque a trasformare “Blade Runner 2049” in un incredibile capolavoro.
Nel film vecchio e nuovo s’incontrano in maniera magistrale, come Harrison Ford e Ryan Gosling, protagonisti rispettivamente della pellicola datata 1982 e di quella moderna. Durante la conferenza tenutasi per la presentazione promozionale di “Blade Runner 2049” il regista Canadese ha svelato molti dettagli riguardo a quello che considera il più grande tra i suoi lavori in 35 anni di carriera; tra cui alcune curiosità davvero imperdibili.
Replicanti come moderni mostri di Frankenstein
Come è noto le idee per di un artista non nascono dal nulla, ma sono spesso frutto di fascinazioni, ricordi e ispirazioni, riprese magari da altre opere del passato. E’ questo anche il caso di “Blade Runner 2049” che, secondo Villeneuve, s’ispira in parte, al capolavoro di Mary Shelly: Frankenstein. I replicanti, infatti, sono molto simili al mostro creato dal dottor Victor nel romanzo. Questi umanoidi nascono con le migliori intenzioni, ma andare contro natura è sempre un rischio e i prodotti di laboratorio diventano un grave pericolo per i proprio creatori. Nella pellicola originale gli umani sintetici sono addirittura illegali sulla Terra, malgrado le loro similitudini con gli abitanti del pianeta siano numerosissime. Compito dei Blade Runner è di ‘mandarli in pensione’, ovvero eliminarli, mentre in questo film ci sono molte differenze con la pellicola precedente.
Il tracollo dell’ecosistema dalla prima alla seconda pellicola
L’ambientazione del primo “Blade Runner” era affascinante e allo stesso tempo spettrale, quasi fosse una dimensione parallela sospesa tra il reale e l’onirico e nel sequel questa idea è ancora presente, soltanto che si è evoluta. L’ecosistema della Terra è collassato e le condizioni climatiche sono diventate invivibili, per questo gli esseri umani sono costretti a spostarsi su altri pianeti ritenuti più ‘accessibili’.
Una detective story alla vecchia maniera
Immaginare una detective story nell’era di internet deve essere qualcosa di estremamente noioso, dato che praticamente sarebbe possibile trovare qualsiasi informazione seduti dietro ad una scrivania facendo ricerche al pc, e non deve essere molto entusiasmante per lo spettatore guardare scene di questo tipo. La sceneggiatura di “Blade Runner 2049” ha trovato un modo per rendere le cose più ‘movimentate’ immaginando un evento chiamato “Blackout”. Questo enorme impulso elettro-magnetico ha avuto un impatto terribile sulla tecnologia, distruggendo quasi tutti i dati digitali conservati in rete, pertanto i nostri protagonisti saranno costretti a risolvere i loro problemi alla vecchia maniera, affidandosi al supporto dell’analogico.
La trovata è, secondo il regista, anche un ottimo spunto per riflettere sul significato della memoria: conservare un ricordo o un’informazione consegnandola al web è una mossa facile e sicuramente vantaggiosa, perché ci permette di accedere a quel dato in ogni momento e da ogni parte del mondo; ma estremamente fragile, legata ad un supporto energetico all’assenza del quale, tutto può andare perduto.
Ryan Gosling: un protagonista suggerito da Scott
Quando il co-sceneggiatore Hampton Fancher – che aveva già partecipato alla stesura del primo film – ha ricontattato l’ex regista Ridley Scott per dar vita a ciò che sarebbe diventato il fortunato sequel della pellicola; è stato lo stesso Scott a suggerire Gosling nel ruolo del protagonista. Ma perché proprio Ryan Gosling sarebbe stato così adatto ad impersonare l’Agente K? La risposta è molto semplice per Villeneuve: si tratta di una questione di gusti. Secondo l’artista è importante che un attore non si limiti soltanto ad interpretare un personaggio, ma che, in qualche modo, lo incarni, attraverso gesti, parole e azioni. Tale modalità permette al lavoro di acquisire una credibilità del tutto diversa, ed è questo che fa la differenza. Soprattutto quando si cerca di creare un prodotto ‘all’altezza delle aspettative’, queste piccole sfumature diventano fondamentali.
Villeneuve passa al vaglio tutte le comparse
Per Villeneuve ogni dettaglio era irrinunciabile, tanto che ha voluto provinare personalmente tutte le comparse del film, convinto dell’idea che solo un determinato tipo di persone fosse ‘degno’ (o meglio, adatto) di entrare nell’immaginario universo di “Blade Runner”.
Un mix perfetto di ingredienti segreti
Ma qual è il segreto per la riuscita di una pellicola come “Blade Runner 2049”? Di base deve esserci necessariamente un immenso amore, soprattutto per i primo film che ha rappresentato, davvero, una pietra miliare nella cinematografia internazionale, in modo particolare per quanto concerne il punto di vista estetico. Ridley Scott è stato un visionario: ha saputo usare la luce per creare giochi di ombre, atmosfere; un universo cupo e nebbioso che ha fatto scuola. Per questo il direttore della fotografia Roger Deakins non ha potuto fare a meno di riprendere quel genere di lavoro, lasciando che si evolvesse naturalmente verso qualcosa di nuovo, un mondo subito riconoscibile, ma non perfettamente sovrapponibile.
Per esempio non è difficile riconoscere le futuristiche strade di Los Angeles di Scott, ma le cose da allora sono peggiorate ed è evidente che il clima sia diventato più freddo. Esiste una ricetta segreta per “Blade Runner” ed è un mix vincente tra malinconia, solitudine, foschia ed esistenzialismo”.
Colori invernali e sprazzi di giallo
Le atmosfere cupe e plumbee della prima pellicola, si riempiono di una nuova palette cromatica nell’immaginazione di Roger Deakins che aggiunge anche molto bianco e argento, per conferire al film un aspetto quasi ‘invernale’. Per il regista, che ha lavorato fianco a fianco con il direttore della fotografia, è stato davvero fondamentale poter arrivare così a fondo nei dettagli, da influire nella scelta di colorazione delle scene; infatti, come sappiamo, nel cinema americano la produzione è molto settoriale e difficilmente un professionista può suggerire ad un altro come fare il suo lavoro.
Un’altra scelta rilevante è stata quella di usare il giallo per ricordare un ritorno all’infanzia; un colore davvero molto insidioso da usare nel cinema, ma la sfida è stata accettata e vinta con successo.
Girare sul set in modo tradizionale
La tecnologia e l’enorme sviluppo nell’ambito degli effetti speciali cinematografici hanno avuto un’incredibile influenza sulle modalità delle riprese sul set. Moltissimi film di genere fantascientifico, infatti, vengono girati su green screen e successivamente manipolati in grafica digitale; ma questo non è sempre un bene per gli attori, che trovano molto più difficile immergersi nel proprio ruolo con una scenografia praticamente inesistente. Sebbene i costi per un approccio CGI siano estremamente elevati e il modus operandi superato, il regista di “Blade Runner 2049” ha preferito muoversi alla ‘vecchia maniera’ per consentire ai suoi interpreti una riuscita davvero ottimale davanti la macchina da presa. Moltissimi degli scenari sono stati infatti scenografati e questa è stata anche una delle condizioni imposte alla produzione da Denis Villeneuve per accettare la direzione della pellicola.
Ilaria Romito
20/10/2017