Oggi è stato presentato alla stampa dal regista Christian Carion “Mon garçon”, un film sulla difficile situazione in cui si trova un padre a cui hanno rapito il figlio, in Selezione Ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2017.
Mon garçon: un film girato in poco tempo con un Canet libero di improvvisare
Il regista Christian Carion ha iniziato col dire che l’idea di questo film è piuttosto vecchia: “La prima volta che l’ho raccontata è stato 15 anni fa, e la prima persona cui l’ho raccontata è stato proprio Guillaume Canet, col quale all’epoca giravo un film. Lui non era ancora padre e io non ero pronto ad imbarcarmi in una storia di questo tipo”.
Il regista viene da una grossa produzione, la terza in costume, “En mai, fais ce qu’il te plait” (la cui colonna sonora, ci tiene a ricordalo, è stata composta da Ennio Morricone), e si era ripromesso che il suo prossimo lavoro sarebbe stato contemporaneo e meno pesante.
Come un fiume in piena ha proseguito raccontando di come la primavera dello scorso anno si sia lanciato in quest’operazione con sua moglie, che ha scritto la sceneggiatura, ultimata d’estate, e di come a novembre siano potute iniziare le riprese: “Sarebbe bello poter lavorare sempre così”, in sequenza, aggiunge con convinzione.
“Gli impegni di Guillaume mi hanno costretto a girare rapidamente, ma in cambio gli ho chiesto di recitare senza leggere la sceneggiatura, gli ho dato solamente due pagine, giusto una traccia con i dati base del personaggio.”
Mon garçon: un film per il cinema a basso budget
Il desiderio era quello “di fare un film libero, piccolo, poco caro, da girare come volevamo senza conti da rendere alle televisioni”. Una televisione che a detta di Carion “è molto presente nel cinema francese”, a parer suo “il cinema deve rimanere ciò che è: film per il grande schermo”.
Il film è stato realizzato in sei giorni, “girando in modo cronologico, ora per ora”, e non si sarebbero potute effettuare seconde riprese: “È come l’olio a freddo, solo la prima spremitura. Diversamente non avrebbe funzionato, perché Guillaume avrebbe saputo troppo. Abbiamo girato con due macchine da presa, ad un certo punto la seconda si allontanava, sperando che Guillaume prima o poi si sarebbe avvicinato”.
Niente è stato ripetuto due volte: “Prima che Guillaume arrivasse sul set abbiamo fatto due settimane di prove tra di noi, per capire come intervenire, poca luce, e con lui non ci siamo mai fermati, niente trucco e parrucco. E’ stato un lavoro compresso, durato solo sei giorni”.
A riprese finite il regista ha voluto chiedere a Bertrand Tavernier, memoria storica del cinema francese, se qualcuno prima di lui avesse fatto lo stesso esercizio: “Non volevo avere un primato, ed ero comunque convinto che Guillaume avrebbe recitato meglio, nulla è stato calcolato, tutto è uscito da lui”.
Mon garçon: un grande lavoro di squadra su un uomo che arriva quasi alla follia
Certo questa imprevedibilità ha appesantito il lavoro degli altri attori, che avevano studiato il copione e fatto le prove, avevano un doppio lavoro, difendere il proprio personaggio e controllare quello di Julien.
Un giornalista francese ha definito il film “la storia di un uomo che diventa papà”, una conclusione cui il regista è giunto a posteriori: “In realtà la cosa che m’interessava di più è il fatto che tutti abbiamo ricevuto un’educazione per imparare a vivere insieme, la vera sfida dell’umanità, visto che sarà sempre più complicato, siamo contro la violenza e la pena di morte, ma per Julien, di fronte a quello che gli succede, tutto questo si frantuma, e va al suo scopo arrivando a commettere cose illegali”.
Maria Grazia Bosu