Recensione
Fabrizio De Andrè –Principe Libero – Recensione: un buon prodotto televisivo
“Fabrizio De Andrè –Principe Libero” è un film televisivo, con una struttura narrativa semplice ed efficace, supportata da un buon montaggio. Tale premessa è d’obbligo, perché il target televisivo costringe a compiere alcune scelte, spingendo forse anche ad un certo “contegno”.
I personaggi di questo film non sembrano affatto persone a tutto tondo, ma si incastrano in un ingranaggio fiabesco, incarnando dei ruoli archetipici. Luca Marinelli fa da prototipo per un cantautore che può ricordare De Andrè e che, pur non avendone né l’eloquio né le fattezze, talvolta lo diviene davvero, grazie all’abile gioco di luci orchestrato dal direttore della fotografia Gogò Bianchi. Il bravissimo Marinelli, nell’interpretare questo personaggio-archetipo De Andrè, si fa comunque seguire volentieri dallo spettatore attraverso i vicoli di una Genova trasognante.
Poi c’è un versatile Ennio Fantastichini, il padre-archetipo il cui esempio e rimprovero è ingombrante, ma che è alfine figura di riferimento vitale per l’eroe. E ancora, come nelle fiabe, troviamo l’archetipo dell’amico-aiutante, quel divertente Paolo del film (Gianluca Gobbi) che ci ricorda sì Paolo Villaggio, soprattutto nell’aspetto, ma che è più che altro quell’“amicone” che c’è e ci sarà sempre. Lo stesso si può dire per Tenco – interpretato da un somigliantissimo Matteo Martari – che dovrebbe, secondo le intenzioni degli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini, far convergere nella sua persona anche i Lauzi, i Paoli e tutta la gens cantautorale che animava le serate genovesi, ma che è comunque figura un po’ sbiadita, ancora una volta comparsa fiabesca e nebbiosa, deputata ad agglomerare in sé tutte le stelle e costellazioni che gravitano intorno all’eroe protagonista.
È stato comunque commovente sentire risuonare nelle orecchie le parole che Faber dedica a Tenco all’indomani del tragico suicidio. Va detto però che la commozione e l’emotività non passano affatto a livello visivo, ma soltanto attraverso il dolce e melodico dettato poetico di De Andrè. La selezione del repertorio di De Andrè è davvero pregevole (tranne forse per una “Canzone del Maggio” un po’ fuori contesto), così come l’ottimo lavoro svolto sul suono (sia con la presa diretta del fonico Gianluca Scarlata, sia con le registrazioni di Marinalli cantante).
Interessanti i ruoli femminili: una Dori Ghezzi che Bellè legge come un personaggio solare, arioso e vitale, che fa da contraltare ad una Puny (Elena Radonicich) prima leggiadra e poi inabissata e sconfortata, innamorata ma intrappolata dall’uomo-immagine-De Andrè.
Fabrizio De Andrè – Principe Libero: una regia pacata, rispettosa, ma di superficie
La regia di “Fabrizio De Andrè – Principe Libero” risulta un po’ piatta: il regista Luca Facchini lascia entrare lo spettatore nelle inquadrature quanto basta (come se si trovasse distante di un paio di metri da un bel quadro) e non tenta né di prenderlo per mano per avvicinarlo, né però lo lascia in contemplazione mistica.
Il film ha dunque un tono medio, di superficie; adempie al suo dovere narrativo ma manca un po’ il coraggio di grattare con le unghie sotto la scorza, di strappare la logora carta da parati anni ’70 per vedere cosa c’è sotto. “Fabrizio De Andrè –Principe Libero” è un’opera rispettosa e pulita, che non macchia né smacchia De Andrè, ma che – forse per troppa riverenza al medium televisivo o al genio stesso di uno dei cantautori più celebrati della nostra storia – non «volta la carta», non svela il mistero dell’essere umano, e non è sua intenzione farlo.
Comunque sia, è consigliata la visione di “Fabrizio de Andrè – Principe Libero”, superiore ad altri film pensati per il piccolo schermo sia per qualità tecnica sia per un forte senso di integrità ma anche di icasticità nell’operazione. Ovviamente questo prodotto va preso per quello che è, senza la pretesa di ritrovarvi davvero De Andrè (del resto, sarebbe mai possibile?) ma piuttosto un suo souvenir, una di quelle riproduzioni in scala – magari anche di un altro colore – che ci ricordano vagamente il monumento vero con nostalgia e simpatia, ma che non potranno mai calarci nell’estasi della monumentalità.
Marta Maiorano
Trama
- Regia: Luca Facchini
- Cast: Luca Marinelli, Ennio Fantastichini, Valentina Bellè, Elena Radonicich, Matteo Martari, Davide Iacopini
- Genere: Biografico, colore
- Durata: 193 minuti
- Produzione: Italia, 2018
- Distribuzione: Nexo Digital
- Data di uscita: 23 gennaio 2018
Con “Fabrizio De André – Principe Libero” Luca Marinelli (“Non essere cattivo“, “Lo chiamavano Jeeg Robot“), diretto da Luca Facchini, rende omaggio a uno dei cantautori più celebri del panorama musicale italiano del secolo scorso, rivivendo sul grande schermo la vita dell’artista.
Fabrizio De Andrè – Principe Libero: ritratto di un’icona
Protagonista della pellicola non è soltanto la vita del cantautore, ma la sua irrefrenabile ricerca di libertà, una libertà tanto artistica quanto morale, che lo spinse sempre a trattare i temi più disparati e a prendere le parti dei diversi così come degli ultimi. Sempre quella voglia di libertà fece di Fabrizio De André il portavoce di valori quali tolleranza e amore, presenti costantemente nelle proprie canzoni.
“Fabrizio De André – Principe Libero” è un vero e proprio ritratto del cantautore, scomparso l’11 gennaio del 1999 a causa di un carcinoma polmonare.
Ripercorrendo tutte le tappe della storia di De André, si rivivono le emozioni legate alle prime canzoni, alle prime imbarazzate esibizioni in televisione, alle amicizie (come quella con Paolo Villaggio e Luigi Tenco), per arrivare anche ai terribili giorni del sequestro (dal 27 agosto al 22 dicembre del 1979) e al successivo ritorno sul palco.
Le vicende biografiche di Fabrizio De André sono arricchite da un’esaustiva rappresentazione della sua personalità e umanità. La cosiddetta “Voce di Dio” (come lo definì Fernanda Pivano) prende vita con la settima arte, attraverso la quale è possibile rimettere insieme tutte le sfaccettature di quest’uomo, che ha lasciato un segno indelebile all’interno della cultura musicale italiana del Novecento. All’ombra dei “mille papaveri rossi” della celebre “Guerra di Piero”, Luca Facchini ricorda la ricchezza d’animo di Fabrizio De André.
Trailer
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