Catastrofismo americano in piena regola e buonismo nel finale, ecco gli ingredienti di “The Day After Tomorrow”
Regia: Roland Emmerich – Cast: Dennis Quaid, Jake Gyllenhaal, Emmy Rossum, Dash Mihok, Jay O. Sanders, Sela Ward, Austin Nichols, Ian Holm, Rick Hoffman, Adrian Lester – Genere: Catastrofico, colore, 124 minuti – Produzione: USA, 2004 – Distribuzione: 20th Century Fox – Data di uscita: 28 maggio 2004.
“The Day After Tomorrow” rientra in tutto quel filone dove la “catastrofe” è l’elemento narrativo portante. Esiste qualcosa da scongiurare che inevitabilmente avviene e, inevitabilmente, lascia incolumi i protagonisti.
Il film risponde in tutto e per tutto ai cliché tipici di queste storie, atte a provocare un sentire che sconfina in quella paura dell’inesorabile, che si prova in sala durante la riproduzione di un disastro che conduce alla morte o peggio ancora all’estinzione. Tale sentimento è inoltre rafforzato dal fatto che la pellicola parte non da presupposti impossibili o solo immaginati, come l’atterraggio degli alieni o un mostro nucleare che distrugge la terra, bensì reali (la trasgressione degli accordi di Kyoto e la conseguente alterazione dell’ecosistema), che proiettano l’inconscio dello spettatore in una situazione di immedesimazione nella realtà e sensazione di pericolo effettivo.
Il messaggio lanciato è chiaro e si insinua nell’ambito dell’intrattenimento come un ritornello stonato. Partendo da un’accusa che punta l’indice contro l’amministrazione statunitense che ha mandato l’ambiente a farsi fottere, il regista tuttavia si addolcisce in un finale a “tarallucci e vino”, dove gli americani sono buoni perché all’inizio di una nuova era, il giorno dopo, estinguono tutti i debiti dei paesi del terzo mondo, dopo averlo invaso per l’ennesima volta.
Nonostante ciò ci piace pensare che un qualche messaggio, al di là di ogni possibile luogo comune e dell’occasione mancata, arrivi comunque al grande pubblico a cui il film è indirizzato.
Massimo Racca