Il regista Craig Gillespie con il film biografico “Tonya” racconta uno spaccato della provincia americana, ricca di contraddizioni e assurdità.
Tonya Harding, una storia ai confini della realtà
“C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà”.
Iniziavano così le puntate di una delle più fortunate e longeve serie tv americane: “The Twilight Zone”. Ma, questa zona di confine è forse tutt’altro che immaginaria anzi, molto probabilmente, è ben radicata nelle territorio degli Stati Uniti d’America: si chiama “provincia americana”, ed è una dimensione che ha una vita propria: lontana dalle grandi metropoli, lontana dalla realtà che spesso Hollywood ci racconta, ma popolata dalle persone più strambe e più vere. Proprio da qui, da questa entità sociale, traggono il loro nutrimento le radici di Tonya Harding, la pattinatrice, un concime non propriamente sano, ma molto nutriente composto da un coacervo di assurdità umane e pensieri bislacchi.
Tonya Harding faceva la pattinatrice professionista, ma lo faceva a modo suo: portando con sé il suo tragico bagaglio familiare e affettivo, riversandolo sul ghiaccio con talmente tanta forza da farla diventare un’atleta di livello internazionale. Ma le radici non si possono dimenticare, o meglio, le radici non si dimenticheranno mai di te.
L’estrazione sociale, i trascorsi, ti inseguiranno sempre come lupi famelici, pronti ad azzannarti le caviglie al primo passo falso. Tonya, questo non lo sapeva: non era a conoscenza del fatto che tirarsi fuori dalla melma è un’impresa che riesce a pochissimi, nemmeno a chi, ad un certo punto della sua vita, ha avuto la possibilità di diventare una vera e propria star. Il mondo da cui provieni e dal quale fuggi, ha sempre la sua bella porta spalancata che non vede l’ora di ringhiottirti e, subito dopo, richiudersi all’istante.
“Tutto è possibile nella porzione del mondo a stelle e strisce”
“Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia, con Tonya Harding e Jeff Gilloly”: questo, invece, è il cartello che appare all’inizio del film. Certo, nulla a che vedere con l’incipit di “The Twilight Zone”, almeno restando nel campo della struttura lessicale, ma nell’ambito dei concetti espressi, hanno molto più in comune di quanto possa sembrare.
Il quesito ricorrente se non ossessivo, che investirà lo spettatore di “Tonya” sarà: possibile che sia vero? La risposta è: sì. Perché tutto è possibile, in quella porzione del mondo a stelle e strisce, volgarmente detta “provincia americana”, che si trova esattamente “Ai confini della realtà”.
“Tonya” è un biopic sui generis, Craig Gillespie, il regista, destruttura il linguaggio dei film biografici e lo rielabora scegliendo la via della contrapposizione. Avverte che non c’è ironia, mentre la pellicola ne è pervasa; parla di fatti realmente accaduti, ma ci appaiono come situazioni irreali; le interviste sono assolutamente vere ma vengono interpretate dagli attori.
Una potenza narrativa che si fa sempre più imponente grazie al contrasto continuo fra realtà raccontata e realtà vissuta. Un film che doveva avere molto più spazio durante la notte degli Oscar, (“solo” uno: Migliore attrice non protagonista. Per la bravissima Allison Janney), ma Tonya Harding ha avuto sempre un rapporto conflittuale con i giudizi e ancora ne paga le conseguenze. Però, proprio per questo, risulta ancora più amabile.
Riccardo Muzi
28/03/2018