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The Handmaid’s Tale – Prima Stagione – Recensione

The Handmaid’s Tale è una serie televisiva americana firmata Hulu, basata sull’omonimo romanzo distopico del 1985 dell’autrice Margaret Atwood.

The Handmaid’s Tale: a partire dal 26 settembre 2017 sulla piattaforma TIMvision

The Handmaid's Tale photoLa seconda stagione ha debuttato su Hulu il 25 aprile 2018, mentre in Italia verrà pubblicata la settimanalmente su TIMvision a partire dal 26 aprile 2018.

The Handmaid’s Tale – Prima Stagione – Recensione

Lo show ha già vinto 8 Emmy Awards e 2 Golden Globe nella categoria Migliore Serie Drammatica, Miglior Attrice in una serie drammatica a Elisabeth Moss (“Ragazze interrotte”, “Grey’s Anatomy”, “Mad Men”), Miglior Attrice non Protagonista a Samira Wiley (“Orange Is The New Black”) e guest star a Alexis Bledel (“Una mamma per amica”).

“The Handmaid’s Tale”, ambientata in un futuro distopico, utilizza come setting principale gli Stati Uniti d’America ormai devastati da guerre, inquinamento e malattie dove, in seguito a un colpo di stato, prendono il potere degli estremisti che daranno vita a una dittatura di stampo militare.

In questa nuova società le donne vengono suddivise in sterili e fertili. Le donne sterili sono le mogli dei Comandanti e sono a capo del regime di Gilead; le Marthe lavorano nelle case dei Comandanti e infine ci sono le donne dichiarate non idonee.

Le donne fertili vengono invece licenziate in tronco e private di tutte le proprietà, dei loro conti correnti, strappate alle loro famiglie e spedite a Gilead dove viene loro data un’uniforme e osservano il nuovo mondo attraverso un copricapo, simile ad un paraocchi, sono limitate nella loro visuale e possono soltanto guardare ciò che accade davanti a loro. Dal momento in cui entrano a far parte del sistema Gilead non sono più donne, sono ancelle con il solo obiettivo di procreare.

The Handmaid’s Tale e la cura maniacale di ogni singolo dettaglio

The Handmaid's Tale immagini serie tvLa macchina da presa segue June Osborne/DiFred nel suo percorso, ovunque esso porti, attraverso i suoi occhi, la sua schiena e i suoi capelli sciolti nei momenti di solitudine e intimità nei quali può essere se stessa. La speranza di June è ciò che la fa resistere alla violenza fisica e psicologica perpetrata nei suoi confronti.

È proprio nei flashback della vita precedente di June che la scena torna a essere viva, piena di colore, rispetto a quella desaturata delle riprese in Gilead in cui sono i colori rosso per le ancelle, simbolo di fertilità, il blu delle Moglie dei Comandanti e le vesti marroni delle Zie a dominare.

Il direttore della fotografia Colin Watkinson segue i protagonisti delle sue scene, organizzando la cornice intorno a loro con una cura quasi maniacale, che ricorda lo stile di Wes Anderson.

La luce è un altro elemento fondamentale della fotografia, che sembra avvolgere i personaggi o mettere in luce la violenza, la tenerezza di alcune scene, la disperazione dei personaggi.

Magistrale il lavoro della regista canadese Kari Skogland nel decimo episodio della prima stagione e negli episodi tre, quattro e sette della seconda: la simmetria delle scene è perfettamente in linea con lo stile militare del regime dittatoriale di Gilead.

“The Handmaid’s Tale” è stato più volte criticato per la durezza delle scene, la Atwood si è difesa affermando di non essersi inventata nulla: tutti gli eventi narrati e rappresentati nello show hanno una reale base storica.

L’opera e la trasposizione televisiva offrono molti spunti di riflessione per quanto riguarda i temi del ruolo e la sottomissione della donna nella società e l’omosessualità. “The Handmaid’s Tale”, nello specifico la veste dell’ancella, viene utilizzata come simbolo di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne.

Alessia Arragoni

18/09/2018

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