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Euforia: Valeria Golino e il cast incontrano la stampa

È il Cinema Caravaggio ad accogliere la presentazione di “Euforia”, seconda fatica sulla lunga durata di Valeria Golino, tornata alla regia a distanza di cinque anni da quel “Miele” su cui tanto si era dibattuto, parentesi necessaria e scomoda che tanti vespai sollevò sul nodo etico dell’eutanasia. Presentato allo scorso Festival di Cannes nella categoria “Un certain regard”, “Euforia” è un’autobiografia inevitabile, a cui la regista è pervenuta per vie traverse e oblique – racconti, frammenti di storie, vite altrui, richiami che si intrecciano e prendono vita. Ad accompagnare la Golino nella premiere capitolina, un cast di prim’ordine: Isabella Ferrari, Valerio Mastrandrea, Riccardo Scamarcio, Valentina Cervi.

Euforia: trascendere la carne

euforia scena film

Euforia: Valeria Golino e il cast incontrano la stampa

L’euforia è il posizionarsi sul crinale, la sospensione, il sollevarsi per un solo e singolo momento sul baratro, sull’ansia e la agitazione, su una morte continuamente posticipata. La Golino apre a strattoni squarci metafisici, interrogandosi sulla sfumatura del sentimento euforico, sul diritto alla bugia. Una ricerca sull’etica del quotidiano, delle piccole cose della vita – spiega la regista -, la domanda urticante tanto cara alla sua poetica cinematografica. È pur sempre un duetto attoriale, quello tra Mastrandrea e Scamarcio, che muove dalla deliberata intenzione di spostare la coscienza, il baricentro comune, far perdere l’equilibrio: fin dove egoismo e altruismo si tengono la mano e s’intersecano? Il diritto alla bugia è necessario e corretto?

Mastrandrea analizza puntualmente il cuore della vicenda. Sulla scena uno scontro frontale e sofferto, quello tra i due fratelli di “Euforia”: l’uno malato, forse conscio dell’avvicinamento della propria fine, gestisce da marionettista i fili che lo legano ai propri cari; l’altro ricco, bugiardo, protettivo, allontana puntualmente il vuoto in cui sguazza con svaghi effimeri e destabilizzanti. Una pellicola sul narcisismo di due personalità polari, diverse e aspre, ma pur sempre avvinghiate l’un l’altra.

Scamarcio, nei panni di un fratello minore scomodo, tessitore di quelle menzogne necessarie a preservare i propri affetti dalla morte imminente del fratello maggiore, lo sottolinea: un film organico, pulsante, in cui i confini si fanno flebili e fumosi, la definizione e la catalogazione diventano atti inconcludenti. È un percorso ostico, pavimentato da silenzi e sentimenti sottoposti a altissima pressione, che conduce verso l’Altro. Proprio questo il fine dichiarato della Golino: trascendere la carne, comprendere cosa si muove insistentemente sotto l’euforia di personaggi “magnanimi e al contempo ridicoli” – la loro vulnerabilità, la scorza, la scelta di respingere sistematicamente il dolore e il presente con storie splendidamente imbastite. Con una fotografia mai così curata e preziosa, “Euforia” porta sulle spalle il peso di voler oltrepassare i fatti e la materialità di questa esistenza; si indaga, si esplorano l’Uomo e le sue corde più intime e inaccessibili, nascoste sotto la coltre della quotidianità.

 

Euforia: opera contemporanea

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Gettare le reti nella contemporaneità e avere la pretesa di portare a riva qualcosa di significativo è atto forse pretenzioso, ma quanto più urgente nell’arte. Ciò nonostante la Golino afferma con prepotenza questo bisogno: è necessario cogliere il presente, il momento che scorre, offrirne un ritratto che non sia diluito ma quanto più attendibile – per quanto difficoltoso possa essere acquarellare il succedersi affannoso di questi tempi.

L’euforia collettiva, spiegano la regista e le sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella, la risata sguaiata sul ciglio della rovina diventano specchio della società, ritratto doloroso e impietoso di ciò che siamo alla radice. Sfida ostica alla regia per l’artista napoletana, che sottolinea come le sia stato necessario attaccarsi e stringersi a un certo canone estetico, contenersi e non straripare, spiegarsi e spiegare. È tutto un muoversi e camminare cauti, come ricordava il poeta Gozzano in “Invernale”, su una distesa di ghiaccio finissimo, pronta a cedere di colpo sotto il peso dei nostri corpi.

 

Simone Stirpe

16/10/2018

 

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