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Diaz – Non pulire questo sangue – Recensione

A dieci anni dal G8 di Genova, Vicari affronta una delle pagine più nere della nostra storia democratica. E lo fa picchiando duro sulla pancia dello spettatore

Regia: Daniele Vicari – Cast: Claudio Santamaria, Elio Germano, Jennifer Ulrich, Aylin Prandi, Renato Scarpa, Davide Iacopini, Paolo Calabresi, Monica Birladeanu, Rolando Ravello, Febrizio Rongione, Alessandro Roja, Ignazio Oliva – Genere: Drammatico, colore, 120 minuti – Produzione: Francia, Italia, Romania, 2012 – Distribuzione: Fandango – Data di uscita: 13 aprile 2012.

diazNon è un buon periodo cinematografico per le italiche forze dell’ordine, o del disordine come da qualcuno polemicamente ribattezzate. Dopo il riuscito “ACAB” di Stefano Sollima che racconta le vite di un manipolo di celerini omertosi e drogati di violenza, tornano sugli schermi le infami gesta di poliziotti che nella notte del 21 luglio 2001, a G8 di Genova ormai finito, irruppero nella scuola Diaz per compiere quella che il vice questore Michelangelo Fournier all’epoca definì una “macelleria messicana” ai danni di un centinaio di pacifici dimostranti italiani e stranieri, con la scusa di stanare un nucleo di black blocks.

La vicenda che fece scandalo in tutto il mondo, tanto da essere stata definita da Amnesty International “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale” approda sugli schermi dopo aver transitato con successo all’ultimo Festival di Berlino, con una trasposizione ben documentata, firmata da Daniele Vicari con un cast composto perlopiù da quella ‘meglio gioventù attoriale’ romana rimasta fuori dal già citato “ACAB” (Elio Germano, Claudio Santamaria, Alessandro Roja, Paolo Calabresi).

Il film è costruito intorno alle storie di alcuni personaggi che si trovano al G8 per differenti motivi (il giornalista, l’anziano sindacalista, il manager che si occupa di economia solidale, l’anarchica che ha partecipato agli scontri nei giorni precedenti) che finiscono per ritrovarsi a condividere un comune tragico destino.

Ovviamente il “piatto forte” della pellicola è l’assalto alla scuola e il selvaggio pestaggio da parte della polizia: una mezzora di manganellate, calci in faccia, denti spaccati, insulti ed umiliazioni assortite, con una scuola trasformata in una trappola lager, dove viene fatto scempio dei più elementari diritti umani. In questa parte Vicari dà il meglio di sé, costruendo un’atmosfera da incubo fatta di ombre, suoni cupi, luci sinistre, singhiozzi e grida disperate, tanto simile ad un horror in cui la vittima tenta inutilmente di nascondersi dal suo carnefice, e lo spettatore già sa che non avrà comunque scampo.

Meno riuscite le altre parti del film, a partire dalle fumose riunioni dei vertici della polizia in cui viene deciso l’assalto, che sembrano uscite da un poliziottesco anni ’70 (“ma cosa li fermiamo a fare questi sovversivi se poi il giudice non ci convalida l’arresto?”) fino alla sequenza delle torture nella caserma di Bolzaneto con il poliziotto aguzzino che brandendo il manganello a mò di fallo verso una povera ragazza sembra fare il verso ad un aguzzino di un nazi porno.

“Diaz”, dunque, più che per i suoi meriti squisitamente cinematografici, va apprezzato per quello che è: un potente atto di accusa verso una delle maggiori vergogne della nostra recente democrazia, in cui l’indignazione dello spettatore, più che alle violenze mostrate dalla cinepresa, esplode alla lettura dei titoli di coda, che evidenziano la sostanziale impunità dei mandanti e degli esecutori.

Vassili Casula

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