Recensione
Takara – La notte che ho nuotato – Recensione: un viaggio sospeso
Le note delicate della ‘Primavera’ di Vivaldi che vibrano nell’aria immobile, bianchi fiocchi di soffice neve che volteggiano nell’aria, un bambino, silenzio: è cosi che “Takara – La notte che ho nuotato” prende forma sullo schermo.
Takara, un bambino dal viso dolce e pieno, disegna, scatta fotografie, canticchia tra sé e sé, passeggia in un mondo immobile e silenzioso; con fare quasi trasognato si muove in un paesaggio gelido e candido, sospeso, come in una fiaba. Il motore che spinge le sue gambe ad andare è il padre, che lavora al mercato del pesce e che vede poco a causa degli orari di lavoro: e così, con leggerezza e semplicità, devia dalla strada che lo porterebbe a scuola, e prendendo treni, attraversando strade, giocando nel centro commerciale, il piccolo protagonista di “Takara – La notte che ho nuotato” intraprende il suo piccolo viaggio.
Takara – La notte che ho nuotato: meno sovrastrutture, più sostanza
“Takara – La notte che ho nuotato” è un film che elimina ogni sovrastruttura e lascia spazio a una comunicazione semplice, essenziale, istintiva: rinunciando ai dialoghi, fa si che siano le immagini, equilibrate e pulite, a parlare e a raccontare una storia, che assume le tinte di una fiaba, o di un sogno.
Il viaggio del bambino si narra solo attraverso la forza emotiva di uno schermo muto, il cui silenzio sospeso è interrotto dal suono degli scarponcini di Takara sulla neve, dal suo respiro, dal suo canticchiare.
Eppure quello di “Takara – La notte che ho nuotato” è un silenzio che cambia, che si permea del momento e delle emozioni del piccolo e si trasforma in noia, attesa, smarrimento o sorpresa, solo attraverso le espressioni del giovanissimo attore e grazie a qualcosa che inspiegabilmente si deposita nella coscienza dello spettatore senza che nessuno vada a spiegargli nulla.
La storia muta di “Takara – La notte che ho nuotato”
L’opera di Manivel e Igarashi è senza dubbio un film che bisogna essere disposti a capire: scardina ogni convenzione del cinema contemporaneo popolare, rinunciando a tutti quegli elementi che lo spettatore dà ormai per scontati, come la parola, i dialoghi; e nonostante questo “Takara – La notte che ho nuotato” riesce nell’intento primario di raccontare la vicenda di un bambino che sembra perso in un sogno, in un mondo immobile e quieto, in cui lui sembra così minuscolo e spaesato da non essere al suo posto, pieno di adulti che gli passano accanto senza interagire con lui.
Il giovane Takara ha un unico obiettivo: raggiungere il padre, attraverso tappe che conosce ma che non è in grado di ricostruire. Non ci sono drammi, non ci sono climax, non ci sono momenti da fiato sospeso, eppure il viaggio del piccolo viaggiatore, del pesciolino che vuole vedere il suo papà, si racconta con forza inaspettata, strisciando lentamente all’interno dello spettatore, depositandosi nella sua coscienza come la neve sullo schermo si accumula sulle strade.
Giada Aversa
Trama
- Regia: Damien Manivel, Kohei Igarashi
- Cast: Takara Kogawa
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 79 minuti
- Produzione: Giappone, Francia, 2017
- Distribuzione: Tycoon Distribution
- Data di uscita: 23 Maggio 2019
“Takara – La notte che ho nuotato” è un film di Damien Manivel e Kohei Igarashi, presentato in Concorso nella sezione Orizzonti della 74° Mostra del Cinema di Venezia, e al Detour – Festival del Cinema del Viaggio.
Takara – La notte che ho nuotato: una favola per tutti
Ambientata tra le suggestive e innevate montagne del Giappone, la pellicola si pone come una favola senza tempo, che rende protagonista un bambino di nome Takara, che vive una giornata piena di scoperte e meraviglie, quando decide di non andare a scuola per recarsi a trovare il padre al mercato del pesce.
Svegliato dai rumori, infatti, Takara, mentre tutti dormono, realizza un disegno per il genitore sempre assente, per poi intraprendere, di prima mattina, con il suo zainetto sulle spalle il suo viaggio verso il luogo di lavoro del papà.
Takara – La notte che ho nuotato: un film per un unico protagonista
Damien Manivel e Igarashi Kohei sono due registi franco-giapponesi che hanno deciso di sviluppare questo progetto insieme, accomunati dall’amore per il cinema. Damien Manivel era alla ricerca di una storia in cui fosse presente la neve e un bambino, così, lui e il collega Igarashi Kohei si sono recati ad Aomori, regione più nevosa del Giappone, dove hanno conosciuto Takara, un bimbo di sei anni, al suo esordio sul grande schermo.
Il piccolo ha colpito i due cineasti per la sua sincerità e per la sua tristezza. La sua storia è simile a quella del protagonista: il suo papà lavora al mercato del pesce, va via quando Takara è ancora a letto e dorme quando il figlio torna da scuola. I due registi hanno dunque voluto raccontare questo rapporto d’amore a distanza.