Nel 2016 “An Unbelievable Story of Rape” ha vinto il prestigioso premio Pulitzer, tre anni dopo gli eventi narrati in quell’articolo sono diventati una serie tv di Netflix dal titolo laconico: “Unbelievable”.
Unbelievable, quando la vittima diventa colpevole
Negli ultimi anni si è spesso parlato di victim blaming, vale a dire quel processo per cui una donna che ha subito un abuso di natura sessuale passa dall’essere vittima al banco degli imputati. L’intento è cercare quel comportamento, o abbigliamento, ambiguo che avrebbe portato il colpevole a commettere il reato, addossando una parte della colpa a chi ha subito l’aggressione. Conseguenza più grave di questo atteggiamento diffidente è quello di non credere completamente alle parole di chi denuncia, ed è proprio ciò che accade in “Unbelievable”.
La storia, ispirata a fatti realmente accaduti, racconta lo stupro ai danni dalla diciottenne Marie. A causa della scarsità di prove che dimostrino la violenza e di alcune incongruenze nei suoi racconti, la ragazza si ritrova a essere accusata di falsa testimonianza. Gli agenti che seguono il suo caso, infatti, si convincono che abbia mentito e la spingono a ritrattare ciò che ha detto.
Inizialmente i due uomini sembrano volere aiutare Marie, ma basta il sospetto che la violenza sia frutto della sua fantasia e cominciano a indagare sul suo passato tormentato, diventando infine sempre più insistenti affinché ammetta quella che per loro è la storia più plausibile: si è inventata tutto per attirare l’attenzione. La giovane si spaventa, comincia a dubitare anche di se stessa, pensa di aver sognato e inizia ad alternare una versione all’altra. Allora i poliziotti si incattiviscono, infastiditi dalla possibilità che stiano perdendo tempo con le false accuse di una ragazza problematica.
Quando comincia a diffondersi la voce che Marie ha mentito, anche gli amici che in quei giorni le hanno dimostrato la loro vicinanza, trasformano quell’affetto in rancore, lasciandola quasi completamente isolata.
“Unbelievable”: stesso tipo di crimine, due modi diversi di condurre le indagini
È il 2008 e tutto questo non fa che aggiungere ulteriore sofferenza a Marie, già provata da una vita difficile che l’ha vista passare da una casa di genitori affidatari all’altra. Ma la cosa più dolorosa è che la prima a insinuare dubbi sull’attendibilità di ciò che ha raccontato alla polizia è proprio una di quelle persone, una donna, di cui lei si fidava, insospettita dal suo atteggiamento troppo sereno a pochi giorni dalla violenza.
“Unbelievable” è il racconto di come la credibilità di una giovane donna venga messa in discussione. Tutti sono pronti a farle notare quando sbaglia, pochissimi a sostenerla emotivamente. Tale mancanza di fiducia, anche di chi afferma di volerle bene, finisce per diventare diffidenza nei confronti di tutte le persone che la circondano.
La serie di Netflix, co-creata, prodotta, diretta, e sceneggiata da Susannah Grant (candidata all’Oscar nel 2001 per la sceneggiatura di “Erin Brockovich – Forte come la verità) , si muove su due linee parallele, una segue Marie e la sua storia, l’altra è spostata in avanti di due anni quando le detective Grace e Karen cominciano a indagare su una violenza che si scopre essere stata commessa da uno stupratore seriale.
Le dinamiche sono sempre le stesse: donne sole in casa, legate e abusate per ore, fotografate per ricatto e infine un’accurata pulizia della scena del crimine, compresa quella della vittima, costretta a lavarsi per eliminare qualsiasi traccia corporea. Eppure i risultati sono diversi: in un caso, la scarsità di prove spinge ad accusare la vittima di mentire, nell’altra le due donne incaricate dell’indagine uniscono le forze e fanno di tutto per trovare il colpevole ed evitare così ad altre quella sofferenza.
Un’estetica essenziale che permette di concentrarsi sui personaggi
La serie, soprattutto nella prima puntata, possiede una potenza devastante, seguendo il percorso della vittima di stupro dalla denuncia fino all’ospedale, in cui è sottoposta a molteplici e invasivi controlli. Tutto avviene in maniera molto asettica, mostrando la mancanza di calore umano o segno di affetto nei confronti di Marie. Si è completamente immersi nella prospettiva di questa giovane, costretta a raccontare più volte ciò che le è successo, ricordando nuovamente, e lo spettatore con lei, i momenti terribili dello stupro. Le immagini della violenza continuano a tornarle improvvisamente alla mente, e a tormentarla, anche nei giorni successivi.
Dopo un altro progetto al femminile ma di tutt’altro genere come la commedia teen “La rivincita delle sfigate”, l’attrice Kaitlyn Dever dimostra la sua bravura con una prova attoriale in cui il suo volto si carica della sofferenza di Marie, abbandonata a se stessa e al suo dolore. La giovane interprete è affiancata da Toni Collette e da Merritt Wever, nei panni delle due detective, personaggi dai caratteri molto diversi ma accomunati dalla dedizione al lavoro.
Non sono donne facili le protagoniste di “Unbelievable”, si dimostrano a volte scontrose e irascibili, non sono perfette e devono esserlo, ciò che conta è la sete di giustizia che le spinge a prendere a cuore i casi di cui si occupano.
Nemmeno la serie è esente da difetti, a volte pecca forse di un certo didascalismo, ma riesce a raccontare gli avvenimenti in maniera molto toccante e sensibile. Ciò che la caratterizza è soprattutto la sobrietà, niente spettacolarizzazione sulle svolte delle indagini o sulla scoperta stessa del colpevole. A differenza di un altro prodotto di true crime come “Mindhunter”, a Susannah Grant non interessano le motivazioni dei colpevoli, ma addentrarsi nella psicologia della donna che ha subito lo stupro, che è vittima due volte.
Ciò che preme è dare dignità alla storia di Marie e di tutte coloro che non sono state credute, accusate di voler attirare l’attenzione o di cercare soldi, o che peggio per paura di non ricevere aiuto non hanno provato nemmeno a denunciare.
Maria Concetta Fontana