Nella grandiosa e natalizia cornice dell’Hotel De Russie di Roma lo sceneggiatore e giornalista Claudio Masenza ha accolto con generosa professionalità la stampa e i grandi nomi che si legano a questo importante evento cinematografico, “I due papi“, di Fernando Meirelles. Presenti all’evento lo stesso regista, i produttori Dan Lin, Tracey Seward e il protagonista, candidato al Golden Globe 2020, Jonathan Pryce.
Un progetto ben accolto dal Vaticano
Lin ha spiegato come la realizzazione del film sia stata favorita dalla cordiale disponibilità da parte del Vaticano e di Don Viganò, il quale ha concesso pieno accesso agli archivi televisivi. I rapporti, a detta di Meirelles, sono stati favoriti grazie anche a un rispetto e a un equilibro tenuti nei confronti dei due papi, il che ha accresciuto la stima e la fiducia da parte della Santa Sede nei riguardi del progetto.
La Seward ha parlato di una proiezione privata all’interno del Vaticano, la quale avrebbe trovato il favore di una strettissima nicchia di persone, ma ad oggi non è dato sapere se qualche alto prelato o Francesco stesso abbiano preso visione del film.
Bendetto XVI e il “grande segreto”
Un interessante punto di domanda è stato quello sulle controversie che condussero il pontefice Benedetto XVI all’abdicazione, in particolar modo sugli scandali legati agli abusi e alla vicenda dei Legionari di Cristo ai tempi di Giovanni Paolo II. Nel film è presente una commovente scena di confessione tra i “i due papi”, nella quale lo stesso Ratzinger si confessa, in un momento di pura umanità, ma che lascia solo intuire quale possa essere stato il grande segreto che lo spinse alla rinuncia del soglio pontificio.
Meirelles ha parlato di ore e ore spese a consultare materiali d’archivio, allo scopo di raccontare i fatti con minuziosa autenticità, ma al tempo stesso ha ammesso di non aver voluto calcare la mano, onde evitare che il prodotto finale si trasformasse in un film d’inchiesta sulla Chiesa.
“I due papi” tocca molto da vicino anche la questione Argentina, indagando con accortezza sul passato dell’allora padre Bergoglio, sui rapporti umani con le persone del posto e sul suo coinvolgimento ai tempi del regime dittatoriale dell’ammiraglio Massera. Come hanno rivelato Meirelles e Stewart, anche qui non è stato necessario inventarsi nulla. Il regista si è recato personalmente nel paese d’origine del pontefice per attingere informazioni e ha avuto la fortuna e il privilegio di confrontarsi con quella stessa gente che aveva vissuto e collaborato a stretto contatto con l’ex capo dei gesuiti, rimarcando come ci fosse chi addirittura lo vedeva come un uomo schivo, di poche parole e restio al sorriso. Una persona nuova, verrebbe da dire, quello che si affacciò sorridente al balcone di San Pietro il 13 marzo 2013; chi lo conobbe da vicino si domandò chi fosse quell’uomo e quale cambiamento fosse mai avvenuto in lui. Senza dubbio Bergoglio, dal momento della nomina a pontefice, ha diviso il cuore dell’Argentina e ancora oggi il paese è spaccato in due quando si parla di lui.
Il processo di crescita e il rapporto con Anthony Hopkins
Ha poi preso la parola uno dei due protagonisti assoluti del film, Jonathan Pryce. L’attore britannico, reduce da un’annata estremamente prolifera, ha raccontato del suo rapporto con il partner Anthony Hopkins. Ciò che il pubblico vede all’interno del film è lo specchio del reale rapporto intercorso tra i due interpreti durante le riprese.
Pryce ha confessato un iniziale senso di sospetto che lentamente si è sciolto con lo scorrere del tempo. Sul set a ciascun attore veniva attribuito un numero, a seconda dell’importanza all’interno della scena da girare; per i due protagonisti, nello specifico, numero 1 e numero 2. Questa simpatica contingenza ha fatto sì che i due attori si incontrassero a colazione salutandosi rispettivamente con “buongiorno numero 1”, mentre l’altro rispondeva “buongiorno numero 2”. Un rapporto che è cresciuto anche in ottica “epistolare”, nel quale Hopkins spediva e-mail a Pryce firmandosi Sir numero 2.
Pryce ha dichiarato che la scelta di interpretare l’attuale pontefice sia stato qualcosa di necessario, come se egli fosse nato per quel ruolo, dati non solo i suoi trascorsi artistici (vedasi ad esempio la parte di High Sparrow nella serie “Game of Thrones”), ma anche per un’effettiva somiglianza estetica fuori dal comune. Quest’ultimo dettaglio portò il web a scherzare molto sulla simpatica coincidenza, compreso il figlio di Pryce che gli telefonò chiedendogli se non fosse lui il papa ad essere appena stato eletto. Non solo una questione estetica, ma soprattutto etica.
L’attore inglese si è sempre riconosciuto nei valori sociali promulgati da Bergoglio, uomo da lui ben visto soprattutto come figura politica, con il quale invece non si trova d’accordo su molti aspetti religiosi.
La preparazione è stata un altro elemento di fondamentale importanza: l’andatura, il modo di parlare, di comportarsi in pubblico, gli accenti. Pryce spiega come abbia sondato diversi aspetti della figura di Bergoglio, imparando un po’ di spagnolo, di italiano, di latino, osservando sul web i video del pontefice.
Un messaggio comune
Anticipati da Pryce, anche i produttori e il regista si sono soffermati sul comune messaggio che il film vorrebbe trasmettere, un messaggio essenziale, che viene anteposto ad ogni cosa proprio dallo stesso Bergoglio: l’umanità. Non bisogna dimenticarsi dei più deboli, di chi muore nell’indifferenza, poiché nessuno si assume la responsabilità e quando ciò avviene la responsabilità diventa di tutti.
Il messaggio sociale è chiaro e si lega esplicitamente alla propaganda dell’accoglienza e della tolleranza. Costruiamo ponti, non muri, affinché la disumanità possa perire e tutti abbiano la possibilità di vivere la propria vita con dignità e speranza.
Salvatore Cuomo
11/12/2019