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The Dreamers – I sognatori – Recensione

Un appartamento, tre protagonisti e il ’68 che imperversa nelle strade di Parigi al di là delle loro finestre: ecco riassunto il nuovo entusiasmante lavoro di Bernando Bertolucci, tratto da un romanzo di Gilbert Adair

(The Dreamers) Regia: Bernardo Bertolucci – Cast: Michael Pitt, Louis Garrel, Eva Green, Robin Renucci, Anna Chancellor, Florian Cadiou – Genere: Drammatico, colore, 130 minuti – Produzione: Italia, Gran Bretagna, Francia, 2003 – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 1 settembre 2003.

the-dreamers“The Dreamers – I sognatori”, capolavoro del maestro del cinema italiano Bernardo Bertolucci, presentato Fuori Concorso alla 60º Mostra del Cinema di Venezia nel 2003. Épater la bourgeoisie dichiaravano i poeti Decadenti, e ciò significava letteralmente scandalizzare la morale comune, facendo crollare gli argini della Parigi del 19esimo secolo, inondando le strade di poesia ed assenzio.

Scioccare la borghesia, o quantomeno scuoterla dal torpore post boom economico, è stato l’intento dei giovani sessantottini, che in quella gloriosa “Primavera” si riversavano nelle strade sventolando vessilli d’indipendenza e libertè. Nel film siamo a Parigi, siamo nel ’68, ma l’azione si svolge in un luogo che non penseremmo mai di associare a quel periodo: lo spazio chiuso e claustrofobico di un appartamento.

È all’interno di questo luogo “limitato” che si concretizza la presa di coscienza di tre ragazzi, i gemelli Isabelle e Theo, e del loro inaspettato coinquilino americano Matthew, conosciuto nel tempio “iconoclasta” della settima arte, guarda caso nel giorno in cui Henri Langlois, l’allora direttore della Cinémathéque, venne deposto dall’incarico.

Le personalità angustiate dalle pareti fisiche dell’appartamento, trovano il modo di evadere attraverso autoregolamentazioni comportamentali che hanno dell’ambiguo e del malsano. “Fuori” il chiasso assordante, imperversano le proteste, i meccanismi sociali vengono scardinati dalle proprie basi; “dentro” il percorso della vicendevole consapevolezza, che passa per prove d’abilità per cinefili incalliti (poesia per i nostri occhi disabituati spettatori “moderni”), e riti iniziatici di intima conoscenza dai risvolti morbosi.

Basato sul romanzo “The Holy Innocents” di Gilbert Adair, autore anche della sceneggiatura, il film è la sintesi teorica di un maestro, che non ha la pretesa di ritornare su temi politici già abbondantemente approfonditi, ma che risultano essere essenzialmente lo spunto dal quale partire. Bertolucci può senza dubbio concedersi il lusso di girare un film nel quale mostra la sua personale classifica cinematografica. Una delle citazioni più belle è sicuramente quella di “Bande à part” del 1964 (in Italia conosciuto come “Separato magnetico”), film di un altro titano del cinema Jean-Luc Godard, in cui i protagonisti stabiliscono un personale record podista nei corridoi del Louvre.

Serena Guidoni

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