Luca Medici, meglio conosciuto con il nome d’arte di Checco Zalone, e il produttore Pietro Valsecchi hanno presentato oggi la commedia “Tolo Tolo”, esordio alla regia per Zalone.
Tolo Tolo: le fatiche di un esordio
La conferenza stampa si è aperta sul tema del debutto da regista del celebre attore pugliese. Valsecchi ha parlato di come il soggetto sia nato da un’idea di Paolo Virzì, sceneggiatore del film, e di quanto sia stata laboriosa la stesura, durata circa un anno e mezzo. La pellicola in sé è stata faticosa e anche piuttosto costosa, ma Zalone è riuscito, nonostante questa sia la sua opera prima dietro la cinepresa, a riuscire a mettere in scena la realtà contemporanea con garbata distanza e ironia.
Zalone ha affermato di essersi spesso sentito smarrito, in preda ad agitazione e ansia, e di aver capito quante responsabilità si celano dietro al ruolo del cineasta solo dopo aver iniziato le riprese. In un aneddoto divertente ha parlato di come la sfortuna si sia accanita su di loro, facendo piovere nel deserto dopo vent’anni di siccità.
Ha poi detto che si aspettava alcune polemiche, ma non a tal punto da finire in prima pagina sui quotidiani o essere argomento di dibattito durante un talk show. Ha confessato però di aver smesso di seguire la vicenda dopo i primi giorni, essendosene stancato.
Alla domanda su cosa sia cambiato da dieci anni a questa parte, ripresa dal commento di Zalone stesso su come al giorno d’oggi verrebbe arrestato per alcune delle sue vecchie battute, il regista ha spiegato che si tratta dei social. Spesso le critiche arrivano da un numero esiguo di persone, ma internet e i giornalisti amplificano il tutto per creare la controversia. Ha poi concordato con Valsecchi su come le polemiche siano state in realtà buona pubblicità.
Un giornalista ha notato quanto il film sia “aggiornato” e ha chiesto chiarimenti al riguardo, ma Zalone ha negato di aver riscritto la sceneggiatura in alcun modo per rispecchiare il presente di volta in volta. Ha però commentato su come il personaggio di Gramegna (Gianni D’Addario) rappresenti l’escalation del successo che si verifica tale e quale nella vita vera. Questo mostruoso personaggio non rappresenta un politico specifico, ma ha avuto la carriera di Di Maio, si veste come Conte e parla come Salvini.
È stato richiesto un commento sul livello di improvvisazione presente in “Tolo Tolo” e Zalone ha citato la scena iniziale della guerriglia, confessando di aver provato inizialmente a girarla con il suo personaggio in preda allo spavento e di non esserci riuscito. Allora ha deciso “lì per lì” di rendere il protagonista del tutto incurante della situazione attorno a lui, costruendo una metafora grottesca sull’incapacità dell’uomo di guardare oltre il proprio congenito egoismo.
Un reporter ha voluto sapere quali sia il cinema ispiratore di Zalone e lui ha dichiarato come propri modelli da seguire gli astri della commedia italiana, Dino Risi e Alberto Sordi. Ha poi detto che il personaggio di Oumar (Souleymane Sylla), che nella pellicola ha la passione per il neorealismo italiano, è ispirato a un amico di Virzì realmente esistito e venuto a mancare.
Valsecchi ha preso la parola davanti a una domanda su come il film possa essere anti-salviniano e ha affermato che in realtà non si tratta di un film politico, ma di qualcosa che va oltre, per esplorare delle persone in cerca di futuro e accoglienza.
Tolo Tolo: un’opera divisiva
Sempre in tema polemiche, Zalone ha detto di essere stato accusato di sessismo e di essersene dispiaciuto, in quanto è convinto di aver dato a Manda Touré, che in “Tolo Tolo” interpreta Idjaba, un personaggio molto interessante che si sottrae a uno sguardo voyeuristico e rimane in possesso del proprio corpo senza essere “spogliata”.
La stessa Touré si è detta d’accordo, affermando come sia stato interessante e istruttivo per lei, francese, lavorare in Italia con un’equipe italiana. L’attrice ha definito Zalone non solo un regista, ma un direttore d’orchestra capace di sapere sempre dove sta andando e di infondere per questo sicurezza al cast.
Questo sentimento è stato echeggiato anche da Alexis Michalik, l’interprete del giornalista Alexandre Lemaitre, che ha ringraziato il regista per avergli fatto conoscere tante culture così diverse, anche se la più caotica rimane sempre la cultura italiana. Zalone ha risposto con ironia, spiegando che all’inizio non riusciva a sopportare Michalik, in quanto era non solo più bravo di lui come regista, ma anche più bello e francese. Poi i due sono riusciti ad andare d’accordo.
Una giornalista ha identificato la scena musicale in acqua come un possibile contenzioso con i detrattori di Zalone, cosa a cui il cineasta ha risposto che si tratta di una canzone di speranza, un momento quasi onirico. La realizzazione è stata complicata, poiché si rischiava di scadere nella presa in giro o nel moralismo, ma anche il cast ha approvato la sua scelta. Un’altro aspetto spinoso del film è la rievocazione di Mussolini, ma il regista ha detto di non aver avuto paura nell’inserirlo perché per lui era importante raccontare l’intolleranza che emerge nei momenti di difficoltà.
Zalone ha poi parlato di quanto si fosse sentito disperato ai provini per il ruolo del piccolo Doudou, perché gli si presentavano davanti solamente dei “pariolini” benestanti, e di come tutto sia cambiato quando in Kenya ha incontrato il giovanissimo Nassor Said Birya, che sin da subito l’ha colpito con i suoi enormi occhi espressivi, la sua fame di successo e la sua capacità di rimanere calmo.
Ha concluso la conferenza Nichi Vendola, dicendosi orgoglioso di aver fatto parte di un film capace di far sorridere e commuovere.
Gaia Sicolo
27/12/2019