Recensione
Il Buco – Recensione: un horror distopico sulle disuguaglianze sociali
In un futuro non così improbabile, Goreng (Ivàn Massagué) si fa rinchiudere volontariamente in una sorta di prigione tecnologica a livelli verticali. Quello che distingue i vari detenuti è l’abbondanza di cibo, che arriva ogni giorno su una piattaforma mobile ferma a ogni piano per pochissimo tempo. Ci sono più di 100 livelli e più si scende meno resta per chi è sotto. In ogni cella ci sono due persone che non si sono mai conosciute prima.
Gaztelu-Urrutia affronta in modo grottesco un tema molto concreto
“Il buco” ha una narrazione in crescendo con pochissimi personaggi, tutti ugualmente importanti per la storia. Risalta tra tutti Goreng, uomo colto che ha scelto di portare con sé solo il libro di Cervantes “Don Chisciotte”, che scopriremo avere una forte valenza metaforica.
Il suo primo compagno di cella al livello 48 è Trimagasi (Zorion Eguileor), un uomo ossessionato dalle pubblicità televisive, che ha ucciso per caso un immigrato clandestino. É lui a traghettare il suo compagno nell’inferno dantesco in cui si trovano.
La narrazione è un crescendo di orrore e crudeltà che il regista mostra senza alcun filtro. La seconda compagna di cella di Goreng è Imoguiri (Antonia San Juan), la stessa funzionaria che lo aveva accolto. La donna, malata terminale di cancro, è lì con il suo cane e cerca senza risultato di creare compassione negli ospiti dei piani superiori per garantire la sopravvivenza a chi è sotto.
Un inferno dantesco pieno di miserie umane
Seguendo una serie ideale di gironi danteschi, lo spettatore cade sempre più in basso nelle miserie dell’animo umano. Ovviamente, vale la vecchia massima universale “Homo homini lupus”, per tutti eccetto Goreng che diventa una specie di Messia. La salvezza, ammesso che ci sia, prende la forma di una deliziosa panna cotta da offrire indenne a una bimba nascosta ai livelli più bassi.
Il tema del film non è nuovo, è già stato trattato dal regista coreano Bong Joon-Ho in “Snowpiercer”, dove l’inferno aveva la forma di un treno in corsa verso il nulla, diviso in scompartimenti per classe sociale.
Nel film di Gaztelu-Urrutia ci sono anche richiami ideali a “The Cube” di Vincenzo Natali del 1997, una storia claustrofobica di un gruppo di persone prigioniere in un cubo ipertecnologico.
Non è leggero “Il buco”, tanto più in questi giorni difficili che stiamo vivendo ora. Il tema sociale è sviluppato non alla perfezione, tuttavia, il regista riesce a far passare il messaggio proprio grazie ad una semplificazione della storia. Le immagini sono crude, non per tutti, ma hanno il loro senso.
Stefano Mazzola
Trama
- Titolo originale El Hoyo
- Regia: Galder Gaztelu-Urrutia
- Cast: Emilio Buale, Zorion Eguileor, Eric Goode, Alexandra Masangkay, Ivan Massagué, Antonia San Juan
- Genere: Fantascienza, colore
- Durata: 94 minuti
- Produzione: Spagna, 2019
“Il buco” è un film diretto da Galder Gaztelu-Urrutia, presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival 2019, dove ha ottenuto il premio del pubblico ed è stato acquistato da Netflix.
L’anteprima italiana è avvenuta al trentasettesimo Torino Film Festival.
Il buco: un futuro distopico in cui domina la pochezza umana
In un futuro distopico, i prigionieri di un carcere sono alloggiati in celle verticali. Il loro vitto scende dall’alto sopra una lastra, alimentando piano per piano, lasciando alla fame e alla disperazione chi si trova più in basso, finchè una ribellione non stravolgerà tutto.