Recensione
Fuoco cammina con me: l’horror dietro la telenovela
Quando esordì a Cannes nel 1992, “Fuoco cammina con me”, il vociferato prequel de “I segreti di Twin Peaks” (la rivoluzionaria serie televisiva ideata da David Lynch e Mark Frost, 1990-1991), deluse pesantemente la critica e il pubblico. Roger Ebert pare che si sia rifiutato di vedere il film una seconda volta, e l’allora poco noto Quentin Tarantino, in Francia per il battesimo del suo “Le iene” (1992), ebbe parole poco generose sul da lui pur amato regista di “Velluto Blu” (1986). Questa damnatio fu parallela a quella subita dalla serie, alla cui direzione Lynch fu costretto ad abdicare durante la lunga coda della seconda stagione, tra lo svelamento dell’omicida di Laura Palmer e l’enigmatica sparizione di Dale Cooper nella Loggia Nera.
Recuperato solo dopo i fatidici 25 anni predetti dalla giovane Laura, “Fuoco cammina con me” è ancor oggi strattonato per le maniche da chi, come Vincent Canby, lo considera alla stessa stregua del “peggior film mai realizzato”, e da chi invece si ritrova nel giudizio di Mark Kermode: un capolavoro, vetta dell’horror anni ’90, e punta di diamante dell’opera di Lynch.
Twin Peaks o Deer Meadow?
La rete abbonda di analisi dettagliatissime sul simbolismo di “Twin Peaks”, lo straordinario universo parallelo che Lynch evocò dalle foreste del Nordovest americano. Il gioco interpretativo si presta tanto a una lettura globale delle profonde implicazioni morali della vicenda di Leland e Laura, quanto alla ricognizione “fiamminga” dei dettagli allegorici della trama, che, tra spiriti arcani e presenze mondane, offrono uno spettacolo degno delle più articolate saghe del fantasy novecentesco. Un aspetto, però, dell’eterna dualità delle cime gemelle risiede, in “Fuoco cammina con me”, nella presentazione di un secondo polo del male, una seconda manifestazione della presenza di BOB sulla terra. Deer Meadow, l’inospitale paesino di Teresa Banks, funge da contraltare realistico della narrazione romantica proposta a Twin Peaks.
Libero, parrebbe finalmente (almeno secondo lui), dalla censura della televisione, Lynch prende letteralmente a colpi di ascia le restrizioni della ABC e propone uno scorcio di tragedia, di oscurità, laddove, nella memoria dello spettatore, avevano dominato i colori pastello.
Con “Fuoco cammina con me” si consuma il passaggio verso una dimensione inquietante e più prossima alla nostra, la stessa richiamata nella celebrata (e vituperata) terza stagione della serie (2018).
Volendoci abbandonare a un azzardo ermeneutico, potremmo dire che come la lettera di Lincoln in “The Hateful Eight” (2016) di Quentin Tarantino rappresenta la semantizzazione del vuoto (metafisico? narratologico?) della valigetta-McGuffin di “Pulp Fiction” (1994), allo stesso modo i venticinque anni che Dale Cooper è costretto a passare nella Loggia Nera, il trapasso annunciato dalla povera Annie, infine lo stesso cambio di rotta operato nel salto dal piccolo al grande schermo, svolgono e spiegano per l’universo di Twin Peaks quello che una scatoletta enigmatica a Los Angeles cela agli abitanti irrequieti del mondo di “Mulholland Drive” (2001).
L’affrancamento dagli Anni Cinquanta
Se il costante riferimento agli anni del boom è una caratteristica dell’età del neon di Reagan e della Thatcher, nella quale è ambientata la vicenda di Laura, questa trasposizione temporale è tanto più chiara laddove non si opera attraverso una scelta netta tra i due periodi, ma piuttosto attraverso una sapiente mescolanza del rosa del primo e del blu del secondo. Sarebbe scontato ripetere che già in “Velluto Blu” questa ambiguità viene sfruttata fino alle sue estreme conseguenze; e che, ne “I Segreti di Twin Peaks”, la periodica discesa nel dopoguerra funge da contraltare coloristico per rendere straniantemente pittoresche le alterne vicende della storia.
Tuttavia, in “Fuoco cammina con me” la dinamica temporale assume dei connotati nuovi: l’uovo è impazzito, la soluzione è precipitata, e la contrapposizione tra un mondo andato e quello presente risalta in tutta la sua evidenza. Sarebbe assurdo ignorare i sovratoni non già politici, ma quantomeno storici dell’opera di Lynch, in un periodo in cui l’America può finalmente contemplare dietro di sé la portata del suo riposizionamento globale, l’onda lunga del post ’73, del post Viet Nam, con il relativo spazio mentale che il suo moderato ridimensionamento le concede.
La presenza fumosa dei classici di Otto Preminger, Mark Robson e, ovviamente, Alfred Hitchcock, rincula davanti agli orrori di una realtà che lascia la rima per il verso libero: la domanda resta sempre la stessa, se, cioè, sia più verosimile che un padre stupri e massacri sua figlia o che uno spirito sovrumano lo riesca a possedere – ma la risposta è radicalmente più nera.
L’orrore: il cuore di tenebra dell’America
Quello che rimane, così, è l’orrore. L’orrore, poco poetico, di una giovane seviziata, violentata per anni, cui quest’ultimo film cerca di restituire l’agency necessaria a un affrancamento, a un pur marginale riscatto morale. La comprensione medianica della Signora (del) Ceppo è necessaria per comprendere la barbarie della realtà che ci circonda, che ci affianca nel quotidiano. Una dinamica simile, in fondo, a quella del classico di Stephen King, “It” (1986), che pure gioca sapientemente in bilico tra ’50 e ’80, tra Eisenhower e Reagan, agli estremi di ben altri, fatidici 27 anni. Tuttavia, gli approcci dei due autori sono molto diversi – ed entrambi, forse, incorporati in altri recenti slanci di nostalgia cinematografica.
In un’epoca di pop matters, per esempio, il confronto tra gli ultimi lavori di Andy Muschietti (“It”, 2017, e “It: Capitolo 2”, 2019) e Kevin Phillips (“Super Dark Times”, 2017) risulta di particolare interesse. L’angoscia esistenziale come segnale di onestà intellettuale, secondo le illuminati parole di Reyner Banham, continua a ricoprire uno spazio privilegiato negli approcci della critica alla serialità “pop”, quasi che un’opera destinata (anche) a un pubblico ampio resti colpevole (di esistere?) fino a prova contraria (e si legga, per “prova”, un qualche/qualunque tratto di nobilitazione intellettuale). Non ci esprimeremo qui sulla querelle Kermode-Canby: Lynch è finalmente riuscito a distruggere ogni brandello di quel malcapitato televisore, e il suo programma artistico sarà così, forse, soddisfatto. Se la sorte senza appello dell’altrettanto malcapitata Laura sia, poi, più simbolicamente efficace di quella di Undici, altra giovane vittima di inaudite violenze, in “Stranger Things” (Fratelli Duffer, 2016-in corso), è questione demandata al singolo spettatore.
Lorenzo Maselli
Trama
- Titolo originale: Twin Peaks: Fire Walk With Me
- Regia: David Lynch
- Cast: Sheryl Lee, Harry Dean Stanton, Moira Kelly, Kyle MacLachlan, David Bowie, Kiefer Sutherland, Heather Graham, Ray Wise, Chris Isaak, Joan Chen, Miguel Ferrer, Dana Ashbrook, Jürgen Prochnow, James Marshall, David Lynch, Mädchen Amick, Pamela Gidley, Grace Zabriskie, Gary Bullock, Peggy Lipton, Lenny von Dohlen, Lara Flynn Boyle
- Genere: Thriller, fantastico, drammatico
- Durata: 135 minuti
- Produzione: USA, 1992
“Fuoco cammina con me” è il film prequel della serie tv “I segreti di Twin Peaks” diretto da David Lynch e presentato al in concorso al 45º Festival di Cannes.
Fuoco cammina con me la trama
La trama di “Fuoco cammina con me” si mescola strettamente a quella de “I Segreti di Twin Peaks”, fungendone da prequel e, talora, in quel modo misteriosamente lynchano di affrontare il tempo, da sequel.
Dapprincipio siamo portati, con l’agente FBI Chester Desmond (Chris Isaak) e il suo partner Sam Stanley (Kiefer Sutherland), a Deer Meadow, per indagare sulla morte di Teresa Banks (Pamela Gidley), a seguito della quale l’agente speciale Dale Cooper (Kyle MacLachlan) ha una premonizione sull’imminente destino di Laura Palmer (Sheryl Lee). Successivamente, giungiamo a Twin Peaks, dove assistiamo all’ultima settimana di vita di Laura: tra violenza, abusi sessuali e incontri inspiegabili con l’entità maligna di BOB (Frank Silva), in possesso del padre Leland (Ray Wise), i giorni si consumano in fretta, mentre l’impotente Donna (Moira Kelly) assiste alle disgrazie dell’amica senza riuscire a salvarla.