Recensione
La cosa: il fascino proteiforme di un film di… generi
Nel giugno del 1982, in un’America che imparava a conoscere il volto amichevole di E.T., due film in particolare furono proiettati nei cinema e accolti da un giudizio altalenante di critica e di pubblico. Il più “fortunato” dei due, per la regia di Ridley Scott, si intitolava “Blade Runner”, e oggi sappiamo tutti quanto e quale successo abbia finito per raccogliere negli anni successivi al rilascio. L’altro, invece, venne dapprincipio accusato di essere un remake senz’anima di un classico degli anni Cinquanta, di aver “sacrificato tutto sull’altare del macabro” (Newsweek), di essere “sciocco, deprimente ed eccessivo nella produzione” (New York Times), di essere un “vuoto emotivo” (Time).
La carriera del suo regista, fresco del trionfo di “Halloween” (1978) e di “Fog” e “Fuga da New York” (1980), subì un’improvvisa frenata. Fu una questione di contingenza storica? Il pubblico dei primi anni Ottanta chiedeva immagini rasserenanti e confortanti in un periodo di intensi sconvolgimenti politici? Forse. E se così fu, allora dobbiamo essere grati al tempo che, passando, mutando i gusti e sovvertendo le certezze marmoree della critica, ha reso giustizia a uno dei più mutevoli, notevoli, straordinari film della storia dell’horror: “La cosa” (1982) di John Carpenter.
Una “cosa” di mille film
Al centro del film, minacciosa, mostruosa, si staglia la “cosa”: creatura aliena, gelata tra i ghiacci dell’Antartide, ridesta improvvisamente da una squadra di ricerca norvegese, questa si comporta come un parassita capace di insidiare i corpi dei terrestri che -in un trionfo di gore che l’effettista appena ventitreenne Rob Bottin realizzò a costo della propria salute (venne ospedalizzato per un generale esaurimento fisico al termine delle riprese) – procede senza tregua a sventrare, deformare, mescolare, sciogliere. Ma il titolo della pellicola di Carpenter assume un deciso sovratono metaletterario: la “cosa” è l’orrore senza forma propria che domina in primo piano la vicenda, ma è anche il film stesso, che raccoglie e mescola una mole impressionante di modelli per restituirci qualcosa di completamente nuovo. Da un lato, la tradizione di horror fantascientifici che trattano di una sconosciuta presenza aliena pronta a minacciare la nostra esistenza sulla Terra è di per sé ricchissima. Il richiamo, in particolare, è agli anni Cinquanta, gli anni della prima Guerra Fredda, dell’angoscia nucleare – anni di crisi per il cinema horror, che doveva contrarsi prima di riaprirsi a nuove ansie, meno gotiche di quelle della Universal. Pensiamo in questo senso a classici come “Destinazione… Terra!” (Jack Arnold, 1953), dove un meteorite interrompe il bacio di due amanti proprio come avverrà, nel 1958, in “Blob – Fluido mortale” di Irvin S. Yeaworth Jr.; o ancora a “La mantide omicida” (Nathan H. Juran, 1957), dove una gargantuesca mantide religiosa bloccata nei ghiacci dell’Artico viene risvegliata dal cambiamento climatico. Ma “La cosa” non si limita ai riferimenti di genere: se il senso di paranoia che permea tutta la storia è profondamente debitore a “L’invasione degli ultracorpi” (il classico di Don Siegel del 1956), le dinamiche di sospetto reciproco tra i personaggi richiamano da vicino quelle de “La parola ai giurati” (1957) di Sidney Lumet (si tratta, letteralmente, di “12 uomini arrabbiati”) o di “Dieci piccoli indiani” (René Clair, 1945, dall’omonima opera di Agatha Christie). Un sincretismo impressionante, si direbbe.
Il precedente fondamentale: “La cosa da un altro mondo”
Questo tripudio di membra strappate ad altre pellicole gravita attorno a un punto fermo inaggirabile: il classico del 1951, “La cosa da un altro mondo”, per la regia di Christian Nyby e l’ingombrante, spesso determinante, produzione (e co-regia) di Howard Hawks. Il film, che rappresentò per Carpenter un riferimento centrale durante l’infanzia, segnò un cambio di pagina nella storia del genere: un grande regista si confrontava con l’horror fantascientifico in un periodo in cui quest’etichetta relegava automaticamente un’opera al rango di B-movie.
Quando venne assegnata proprio a Carpenter, dopo una certa resistenza, la regia di una sua nuova versione, l’occasione parve propizia per realizzare qualcosa di più prossimo alla fonte letteraria, un racconto di John W. Campbell del 1938. E lo stile dei due film non potrebbe essere più diverso: raccolto, quasi mistico, carico di simbolismo geometrico quello di (Nyby)/Hawks (notevole la scena del circolo umano nella neve, richiamata anche in “Halloween”); roboante, violento, sanguigno quello di Carpenter. Ma la differenza fondamentale tra le due opere è un’altra. I personaggi del film di Hawks collaborano verso un unico fine: quello di fermare il mostro. I 12 uomini arrabbiati di Carpenter, invece, sono pronti a massacrarsi l’un l’altro, nel dubbio su chi fra loro sia ancora indenne dal contagio del parassita alieno. Metafora del nuovo ordine mondiale, del capitalismo sfrenato, dell’America di Reagan? Forse. Più probabilmente, immagine tremenda e nichilistica di una realtà hobbesiana di cui il pubblico, forse, non aveva bisogno nel 1982.
La prole di nuovi mostri
Concludiamo con una domanda: che, alla fine di questa forsennata fiera, “La cosa” non sia, in fondo, soprattutto un western, privo di donne, con personaggi maschili fortemente caratterizzati, isolati dal mondo civile e proni alla giustizia di frontiera (d’altronde, con “Vampires”, del 1998, Carpenter si confronterà esplicitamente col genere)?
Proprio attraverso l’esperienza cinematografica di Hawks sono filtrati, tra la lente di quel genere, i poli antitetici di Nyby (con “Un dollaro d’onore”, del 1959) e Carpenter (con “Il fiume rosso”, del 1948). E non si può dimenticare che la strabiliante colonna sonora de “La cosa” porta la firma del compianto Ennio Morricone. Ma è soprattutto tra gli “eredi” che l’impronta western di questo horror fantascientifico (!) si fa percepire. Pare che Quentin Tarantino l’abbia proiettato sul set di “The Hateful Eight” (2015), meraviglioso capolavoro di un certo tipo di neo-western che condivide, con “La cosa”, il genio attoriale di Kurt Russell, lo splendido finale aperto tra due uomini di colore diverso rimasti soli nel freddo, e moltissimi altri elementi (compresa la direzione della colonna sonora).
Entrambe visioni violente, entrambe visioni che non offrono compromessi – ma entrambe visioni lontane dal semplice sconforto. Anche nei geli, anche nei recessi più oscuri del nostro animo, l’epica di queste opere lascia spazio a un’umanità che la tragedia più nera dimentica. Forse, i tempi non erano maturi per questo modo di intendere l’horror. Ma oggi, di certo, ne abbiamo bisogno.
Lorenzo Maselli
Trama
- Titolo originale: The Thing
- Regia: John Carpenter
- Cast: Kurt Russell, Wilford Brimley, T.K. Carter, David Clennon, Keith David, Richard Dysart, Charles Hallahan, Peter Maloney, Richard Masur, Donald Moffat, Joel Polis, Thomas G. Waites, Norbert Weisser, Larry Franco, Nate Irwin
- Genere: Fantascienza,
- Durata: 109 minuti
- Produzione: USA, 1982
“La cosa” è un film horror diretto da John Carpenter del 1982, liberamente tratto dal racconto “La cosa da un altro mondo” (Titolo originale: “Who Goes There?“, 1938) di John W. Campbell, già fonte d’ispirazione del film “La cosa da un altro mondo” (1951) di Christian Nyby, prodotto da Howard Hawks.
La cosa: la trama
Tra i ghiacci dell’Antartide, una squadra americana il cui preciso scopo scientifico non è mai rivelato entra in contatto con alcuni militari norvegesi apparentemente fuori di senno, mentre questi stanno disperatamente cercando di abbattere un husky.
Il cane, che gli americani salvano e accolgono nella loro base, si rivela essere ospite di un parassita alieno, capace di insidiare i corpi dei terrestri e agirli senza necessariamente alterarne la forma fisica. Una volta importato, il parassita potrebbe aver contagiato qualsiasi membro del contingente.
Così, tra i personaggi, tra i quali spicca il pilota MacReady (Kurt Russell), si stabilisce una dinamica di immobilizzante paranoia e sospetto reciproco, mentre i “malati” vengono, lentamente e solo parzialmente, scoperti. Chi resterà vivo, l’uomo o l’alieno?