Recensione
Butterfly Kisses: scorporare e rifondare il found footage
Tra le anime più caratteristiche e, al contempo, giovani dell’horror, un posto di particolare rilievo spetta senz’altro al cosiddetto found footage.
L’idea manzoniana su cui si basa è quella di offrire al pubblico una rappresentazione idealmente “credibile” da un punto di vista formale (una registrazione ritrovata e testimone di una realtà apparentemente innegabile), ma inimmaginabile nei suoi contenuti, spesso paranormali (fantasmi, presenze; si pensi, paradigmaticamente, a “Paranormal Activity” di Oren Peli, 2007), a volte apertamente mostruosi (creature di vario genere, come in “Cloverfield” di Matt Reeves, 2008, o nel più recente “Troll Hunter” di André Øvredal, 2010).
Ci sono testimonianze già abbastanza datate di tentativi di incorporare l’espediente narrativo della registrazione naturale in un film, spesso proprio nell’ambito dell’horror: il primo caso generalmente riconosciuto è quello di “Cannibal Holocaust” (Ruggero Deodato, 1980), ma già almeno in “Caltiki, il mostro immortale” (Riccardo Freda, 1959) si può ritrovare qualcosa di analogo. È però solo alla fine del secolo, con l’epocale “Il mistero della strega di Blair” (Eduardo Sanchez & Daniel Myrick, 1999), che quello del found footage riesce a diventare un sottogenere a tutti gli effetti. Per quel breve torno di tempo, nel 1999, l’horror riuscì a convincere il pubblico della propria storia.
Da lì in avanti, l’espediente della ripresa ritrovata ha attraversato momenti di maggiore e minore favore, servendo spesso a registi esordienti per mascherare le inadeguatezze delle loro produzioni. “Butterfly Kisses” è un tentativo, straordinariamente riuscito, di ripensare, decostruire, smantellare e rifondare un sottogenere innestandolo sul tronco di un altro: quello, affine, del mockumentary.
Così, “Butterfly Kisses” di Erik Kristopher Myers (2018) si cala perfettamente in un contesto, quello dei secondi anni Dieci, di forte innovazione e rivitalizzazione del genere, risultando in un piccolo capolavoro del cinema contemporaneo.
La mise-en-abîme della telecamera
“Butterfly Kisses” guarda con affetto alla massa disomogenea di film prodotti tra Sanchez e Peli, collocando l’oggetto del documentario, ossia le riprese degli studenti Sophia e Feldman, in un quasi leggendario 2004 che vediamo granulare e in bianco e nero. Un 2004 irrecuperabile, come i suoi fotografi (nessuna traccia della loro effettiva esistenza è rinvenibile), e forse falso, immaginario. Gavin York, che, metà regista metà archeologo, ritrova le registrazioni, cerca in tutti i modi di dimostrarne la veridicità di fronte al grande pubblico, e per fare ciò lascia che un team di fotografi lo segua in ogni sua mossa. In ultima istanza, per arrivare al 2004 dobbiamo passare per le riprese ritrovate da Gavin, o forse da lui falsificate, e dalle lenti di chi lo riprende (da Manzoni a Brontë, si direbbe). Tre fotocamere diverse, prima di arrivare, forse, al mostro.
Un meta-MacGuffin
Il mostro, il Peeping Tom, l’Uomo dell’Occhiolino, è una creatura rara e straordinaria. Figlia degli anni Zero, l’immagine che Myers ci restituisce è a cavallo tra la mitologia urbana vagamente anni Ottanta – fatta di leggende ai margini della storia, di periferie risignificate, di non-luoghi caricati dalla straordinaria immaginazione di una cittadinanza ai bordi del mondo – e quella, forse anche più inquietante, della rete, spazio immateriale fatto di angoli oscuri nei quali, spesso, si celano i mostri peggiori.
Myers sembra ammiccare a una possibile “archeologia di internet”, alla ricerca dei siti più desueti, abbandonati, pensati secondo formule e stili ormai completamente superati. Quasi una versione estesa, reale, dei creepypastas dei tardi anni Zero.
Da questa fusione di Weird Maryland e Deep Web viene fuori il Peeping Tom, un mostro in sé raccapricciante ma la cui funzione è soprattutto quella di rimandare ad altro: lo puoi scorgere solo nella tua visione periferica, forse c’è e forse no, proprio come i primi Duemila per l’horror di oggi – e, forse, proprio come la carriera nel mondo del cinema che Gavin disperatamente ricerca, senza mai essere certo ad ottenerla, simbolo, in questo, di ogni regista indipendente.
È lo stesso Myers a parlare della sua creatura come di un MacGuffin, carico di tutto il sapore epifanico che gli compete. Ma la sua è un’epifania in ultima istanza maligna: l’uomo del tunnel, highlander che emerge dal profondo della consapevolezza cinematografica di oggi, è in fondo un’eco delle nostre paure più ancestrali, del desiderio irrisolto, di ciò che ci divora. Sarà un caso che, da figlio eccentrico di vent’anni fa qual è, somiglia così tanto al Babadook?
La collaborazione con Sanchez: smontare e rimontare
Uno degli aspetti più straordinari della pellicola di Myers è dato dalla collaborazione, inaspettata, di Ed Sanchez: il padre di un genere che contribuisce all’opera di chi quel genere cerca di decostruire. In effetti, il coinvolgimento di Sanchez fu entusiastico fin dal primo momento, e questo a testimonianza della necessità, talvolta, di bruciare per fertilizzare.
“Butterfly Kisses” riflette apertamente su se stesso e sui suoi predecessori, prende il found e lo innesta nel mock, è dichiaratamente anti-illusionistico, eppure riesce, in parte, nell’impresa di Sanchez. Perché, seppure i tempi non sono più quelli in cui si potevano convincere le audiences della realtà di una strega, il documentario in sé (ossia, quello su Gavin, la prima delle tre lenti, quella “a monte”) potrebbe, a tutti gli effetti, essere vero. La telecamera non mente, d’altronde. Ma ci porta a una costante interrogazione sul rapporto tra Vero e Reale, lasciandoci soli, con la terrificante, buñueliana immagine del finale. Cos’è che vediamo, infine?
Dentro, o fuori?
Giusto qualche altro consiglio…
Se, come speriamo, vorrete concedervi la visione di questa piccola gemma del cinema horror contemporaneo, vi incoraggiamo assolutamente a recuperare anche il meraviglioso “Lake Mungo” (Joel Anderson, 2008), oltre a “Savageland” (Phil Guidry, Simon Herbert, David Whelan, 2015) e “The Nothing” (Christopher Thompson, 2018). Buona visione!!
Lorenzo Maselli
Trama
- Regia: Erik Kristopher Myers
- Cast: • Cast: Rachel Armiger, Reed DeLisle, Matt Lake, Seth Adam Kallick, Eduardo Sánchez, Erik Kristopher Myers
- Genere: Horror, Mockumentary, Found footage
- Durata: 91 minuti
- Produzione: USA 2018
“Butterfly Kisses” è un horror del genere found-footage diretto da Erik Kristopher Myers.
Butterfly Kisses: la trama
Gavin York (Seth Adam Kallick) è un regista di scarso successo che spera di aver trovato l’opportunità della vita quando incappa in alcune registrazioni apparentemente autentiche in cui due studenti di cinema, Sophia (Rachel Armiger) e Feldman (Reed DeLisle), documentano le attività paranormali legate alla presenza di una creatura demoniaca nei pressi di un tunnel in Maryland. Pur di dimostrare al mondo che le immagini sono vere, Gavin sarà disposto a rischiare tutto, compresa la sua famiglia.