Recensione
La Guerra a Cuba: un film indie sulle difficoltà dell’integrazione e la diffusione delle fake news
Parla del presente e offre uno sguardo sul mondo dell’informazione travisata ad hoc da giornalisti senza scrupoli “La guerra a Cuba” di Renato Giugliano. Girato nel territorio di Valsamoggia con un cast di giovanissimi e talentuosi attori, il film scaturisce dal progetto “Tra la via Emilia e il Sud” nato dalla collaborazione tra le due ONG emiliane CEFA Onlus e Overseas con il finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS). Questa genesi particolare si vede tutta nella narrazione di una storia piccola ma carica di contenuti.
Nel lavoro di Giugliano si vanno a incrociare le situazioni di diverse persone comuni, le cui vite saranno sconvolte da una sparatoria ad opera di un folle. Il giovanissimo profugo gandiano Oluwafemi (Ousman Jamanka), alloggiato in un centro di accoglienza e assistito amorevolmente, senza molto successo dalla cooperante Giorgia (Laura Pizzirani) è aiutato dal vecchio Nevio (Luigi Monfredini) professore di filosofia in pensione. Sembra integrato, ma non troppo Kamal (Younes El Bouzari), ospite senza permesso di soggiorno del fratello Ameen sposato con un’italiana.
D’altra parte della barricata c’è il cinico assessore alla cultura Roberto (Marco Mussoni) e il nerd quarantenne Filippo (Lorenzo Carcasci), che diventa facile preda di un gruppo di fascistelli locali il cui mentore è Gabriele Bocchio. La pace apparente di questa piccola comunità bolognese cessa con l’arrivo da Milano di Viola (Elisabetta Cavallotti) ex giornalista rampante in caduta libera, alla ricerca di scoop inesistenti per la sua testata “Yellow Page”.
La guerra a Cuba: una narrazione non lineare con una sua coerenza finale
Il film inizia letteralmente con il botto, per proseguire poi lentamente focalizzandosi sui singoli personaggi inquadrati nel loro contesto. Tutto sembra girare tranquillamente nella tranquilla provincia bolognese, finché non inizia uno sciopero in una piccola fabbrica.
Gli operai sono capitanati da Ismail (Antar Mohammed), sindacalista di colore e sarà lui, suo malgrado, a diventare la prima vittima di una tragedia che coinvolgerà tutto il paese. La Valsamoggia diventa così lo specchio della nostra Italia, dove gli haters, stimolati dai media senza scrupoli e dai politici, fanno da detonatore per la tensione verso i migranti più o meno latente.
Il tema dell’integrazione è centrale in quest’opera che parla di migranti, ma anche di figli omosessuali non accettati dalla famiglia. Diversi registi in passato, tra cui Alessandro Rossetto in “Piccola patria”, hanno raccontato la provincia e la sua variegata umanità nella sua immensa meschinità. Giugliano lo fa nella sua opera prima, e anche molto abilmente nonostante l’evidente produzione low budget. Eppure, tutto funziona in modo eccellente.
I vari pezzi della storia finiscono per combaciare come in un puzzle, anche se presentati in modalità destrutturata. In questo piccolo film c’è un velato omaggio al capolavoro di Orson Welles “Quarto potere” in versione 2.0 e local. Non a caso, uno dei personaggi più incisivi è Viola, cinica giornalista interpretata da Elisabetta Cavallotti in stato di grazia. Ottimo comunque il cast tutto, che vede insieme con attori giovani scelti tra le province dell’Emilia-Romagna anche gente comune del luogo per i ruoli minori e le scene che richiedono grande partecipazione di comparse.
Ivana Faranda
Trama
- Regia: Renato Giugliano
- Cast: Elisabetta Cavallotti, Younes El Bouzari, Marco Mussoni, Luigi Monfredini, Lorenzo Carcasci, Laura Pizzirani, Antonio De Matteo, Annalisa Salis
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 115 minuti
- Produzione: Italia, 2019
- Distribuzione: Emera Film
- Data di uscita: 23 giugno 2021
Siamo nel Bolognese, nella piccola comunità in Valsamoggia. Il tran tran quotidiano è turbato da uno sciopero di operai nella fabbrica che dà lavoro a molti degli abitanti.
Le storie di cinque personaggi s’incrociano in modo drammatico dopo l’arrivo sul posto da Milano di una giornalista ex rampante ora redattrice di una piccola testata, che per fare notizia s’inventa fake news cavalcando il razzismo latente nel luogo.
Tutto ciò scatenerà una serie di azioni violente che culmineranno in una sparatoria dalla cima del campanile della chiesa sulla folla nel giorno della festa padronale. Non è importante chi sia il folle: molti dei personaggi del film potrebbero avere delle ragioni (buone o cattive, ma sempre vere) per farlo. E anche se non sarà uno di loro, il punto è che potrebbe esserlo. Uno di loro, o forse meglio: uno di noi.
La Guerra a Cuba: un’opera prima nata da un progetto sul territorio bolognese
Il film di Renato Giugliano, è stato sviluppato all’interno del progetto “TRA LA VIA EMILIA E IL SUD” sui territori di Valsamoggia (BO), Spilamberto (MO) e Savignano sul Panaro (MO). Il progetto è durato diciotto mesi e ha coinvolto centinaia di giovani tra i diciotto e i ventisei anni e decine di famiglie, attraverso laboratori di scrittura cinematografica e di fotografia, con lo scopo di sensibilizzare la popolazione alla mescolanza e alla tolleranza per creare una società migliore e aperta all’integrazione.
Note di regia
Ispirato ai grandi capolavori di Altman (Nashville, America Oggi), “La Guerra a Cuba” è un film corale che vuole raccontare la società attuale cosi com’è, cercando di mostrare il bene e il male delle persone, e di non esprimere giudizi né dimostrare tesi preconcette.
Tante sono le storie che s’intrecciano e ciascuna ha la sua chiave di narrazione, ma di base è prediletto uno stile realistico e in movimento, quasi documentaristico, in cui l’uso della camera a mano trascina lo spettatore nella scena, rendendolo partecipe e coinvolgendolo direttamente, senza però sacrificare l’estetica e la cura della fotografia. La colonna sonora è realizzata appositamente per il film da Giuseppe Tranquillino Minerva
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