Recensione
La figlia oscura: gli abissi insondati della maternità
“La figlia oscura” liberamente tratto dal romanzo di Elena Ferrante, segna l’esordio dietro la macchina da presa di Maggie Gyllenhaal e vede protagoniste una monumentale Olivia Colman insieme a Dakota Johnson.
Il film segue una feroce vicenda di donne, che travolge e toglie il respiro, incentrata su Leda, Olivia Colman, docente universitaria divorziata e con due figlie. Leda è una donna che cerca la libertà in ogni sua forma, ma che finisce per sentirsi schiacciata dai sensi di colpa per un passato che l’ha portata a scegliere tra un futuro da letterata alla ricerca delle passioni che la vita sa offrire e la sua famiglia.
Leda, alla costante ricerca della sua identità, decide di abbandonare Bianca e Marta per qualche anno, per poi tornare sui suoi passi. Anni dopo, quando le figlie sono andate a trovare il padre in Canada, la donna cercherà di nuovo quella sensazione scegliendo di recarsi in vacanza in Grecia, ma quella scelta la metterà di nuovo di fronte al suo passato quando incontrerà Nina, Dakota Johnson e la sua piccola figlia Elena, restando stregata da loro irresistibile rapporto, punta di diamante di una famiglia allargata chiassosa e minacciosa.
Leda mentre le osserva viene sopraffatta all’improvviso dai suoi stessi ricordi, un misto di terrore, confusione e oscenità personali sale incessante nella sua mente fino a portarla ad un gesto impulsivo, il furto di una bambola che le ricorda quella che aveva da bimba e rovinata dalla sue figlie, gesto che la costringerà a scendere nei meandri delle sue azioni non convenzionali compiute da giovane madre e le relative conseguenze.
Una maternità precoce che si scontra con le ambizioni di una carriera promettente è il tema del romanzo che domina il lungometraggio, con Leda protagonista, che offre e ripropone il suo punto di vista, il suo sguardo, complice anche una Colman incisiva che, con la profondità espressiva, riesce a dare corporeità ed ombre al personaggio.
La regista ripercorre le frustrazioni di Leda da giovane, nome che deriva dal personaggio principale della poesia di Yeats, personaggio ambiguo della mitologia greca e regina di Sparta. Ne mostra la lotta interiore attraverso i primi piani, dedicati interamente quasi tutti a lei, mentre punta l’attenzione sull’interezza dello splendido fisico di Dakota Johnson, quasi a voler ricordare a Leda la sua gioventù bruciata da due gravidanze.
L’importanza di restare fedeli alle proprie ambizioni
“Ospitalità vuol dire mantenere viva l’attenzione di qualcuno e l’attenzione è la forma più pura di generosità”
Leda è una ragazza divenuta madre troppo in fretta, che sceglie di ripercorrere il filo tenace della sua carriera universitaria, fuggendo dalle sue figlie e mandando all’aria il suo matrimonio. Una scelta che a lungo andare aprirà uno squarcio sul suo essere donna e sulla sua moralità, una coscienza che prima la porta a desiderare un figlio, poi respingerlo.
Quella bambola, prima ambita da Leda, poi addirittura rubata, apre una riflessione proprio sui quei figli, un parallelismo forte e inquietante, sulla differenza tra oggetti ed esseri animati e in quanto tali pregni di sentimenti che possono segnare la loro esistenza per sempre, anche se un giorno il loro “contorno” dovesse tornare ad assumere le conformazioni originarie.
Anche il verme che fuoriesce dalla bambola simboleggia il senso di colpa, che seppur nascosto non smette di insinuarsi nella vita di Leda e ricordarle il suo passato da madre imperfetta.
“Ogni volta si cerca di sopprimere un dubbio c’è la tirannia”
Quei sentimenti, presenti e determinanti, non solo tra madri e figlie, ma tra coppie e tra i parenti, sentimenti che a volte restano nascosti, che sembrano sbagliati, è davvero giusto portarli alla luce?
Anche la fotografia, seppur contornata dai colori del mare e delle case greche, rimane fredda e si staglia quasi lapidea, come un deus ex machina, una coscienza palpitante anche nelle immagini.
Del resto le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire e forse niente lo rende meglio delle parole di Erica Jong ” Nessuno stato è così simile alla pazzia da un lato, e al divino dall’altro, quanto l’essere incinta. La madre è raddoppiata, poi divisa a metà e mai più sarà intera”
Chiaretta Migliani Cavina
Trama
- Titolo originale: The Lost Daughter
- Regia: Maggie Gyllenhaal
- Cast: Jessie Buckley, Olivia Colman, Dakota Johnson, Peter Sarsgaard, Paul Mescal, Oliver Jackson-Cohen, Ed Harris, Dagmara Dominczyk, Jack Farthing, Alba Rohrwacher
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 121 minuti
- Produzione: USA, 2021
- Distrbuzione: Bim Distribuzione
- Data di uscita: 7 aprile 2022
“La figlia oscura” è un film in Concorso della 78ª Mostra del Cinema. È l’opera prima dell’attrice Maggie Gyllenhaal che al Festival ha ottenuto il premio Osella per la Miglior Sceneggiatura. È tratto dal best seller della scrittrice italiana Elena Ferrante “La figlia oscura”.
La figlia oscura: la trama
Sola in una località di mare, Leda (Olivia Colman) guarda quasi ossessivamente Nina (Dakota Johnson), una giovane madre, e la sua bambina che gioca con una bambola. La protagonista, docente universitaria ha visto partire le due figlie grandi per il Canada, dove raggiungeranno il padre per studiare. Le due donne diventeranno amiche e Leda si ritroverà a rivivere gli anni lontani della sua maternità vissuta non senza difficoltà. Infatti, Leda per poter perseguire i suoi obiettivi professionali, ha abbandonato le sue bambine per tre anni, scappando a Londra.
Un film sui turbamenti di una donna in fuga da se stessa e sui fantasmi del suo passato di madre imperfetta
“Quando ho letto il romanzo “La figlia oscura”, mi sono sentita pervadere da una sensazione tanto strana e dolorosa quanto innegabilmente vera. Una parte nascosta della mia esperienza di madre, compagna e donna stava trovando voce per la prima volta. E ho pensato a come fosse entusiasmante e pericoloso dare vita a un’esperienza come quella non nella quiete e nella solitudine della lettura, ma in una stanza piena di esseri umani dotati di vita pulsante e sensazioni. Come ci si sente a essere seduti accanto alla propria madre, al proprio marito, alla propria moglie o figlia nel momento in cui sentimenti ed esperienze comuni a lungo taciuti, trovano invece voce? Ovviamente esiste una sorta di sgomento e pericolo nel relazionarsi a qualcuno alle prese con cose che ci sono state dipinte come vergognose o sgradevoli. Ma quando quelle esperienze vengono portate sullo schermo, esiste anche la possibilità di trovare conforto: se qualcun’altra formula quegli stessi pensieri e prova quelle stesse sensazioni, forse non si è soli. Questa è una parte della nostra esperienza che di rado trova espressione e, quando ciò accade, è per lo più attraverso l’aberrazione, la dissociazione o il sogno”. Così la regista esordiente racconta il suo incontro con il romanzo da cui ha tratto il suo film.