Candidato ai prossimi Oscar 2023 come miglior film d’animazione, il “Pinocchio” di Guillermo del Toro, pur essendo un film notevolmente ben costruito, non concede al pubblico di abbandonarsi totalmente alla tenerezza del mythos ma lo obbliga semmai ad adeguarsi alla personale concezione storico-politica del regista.
Indice
Pinocchio – tutte le informazioni
Trama
Guillermo del Toro rielabora la celebre fiaba scritta da Carlo Collodi su un burattino di legno che improvvisamente si anima, ambientando però la storia ai tempi del fascismo. Durante la Prima guerra mondiale, il falegname Geppetto perde il suo amato figlio Carlo sotto un bombardamento. Per “sostituire” Carlo, Geppetto costruisce un burattino di legno che chiama Pinocchio, il quale a un certo momento prende miracolosamente vita e desideroso di conoscere il mondo intraprende assieme a un grillo parlante una incredibile avventura ai confini della realtà.
Crediti
- Tit. orig.: Guillermo del Toro’s Pinocchio
- Regia: Guillermo Del Toro, Mark Gustafson
- Cast: Gregory Mann, David Bradley, Ewan McGregor, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Ron Perlman, Christoph Waltz, Finn Wolfhard, John Turturro, Tim Blake Nelson, Burn Gorman
- Genere: animazione
- Durata: 121 minuti
- Produzione: Stati Uniti/Messico, 2022
- Casa di produzione: Netflix Animation, Jim Henson Productions, Pathé, ShadowMachine, Double Dare You Productions, Necropia Entertainment
- Distribuzione: Netflix
- Data di uscita: venerdì 9 dicembre 2022
Riconoscimenti
Dopo aver ottenuto tre candidature ai BAFTA 2023 (per il miglior film d’animazione, per la miglior colonna sonora e per la migliore scenografia) , “Pinocchio” si è aggiudicato il premio Golden Globe come miglior film d’animazione (per il medesimo premio il film aveva ricevuto altre due nomination, una per la miglior colonna sonora a Alexandre Desplat e una alla miglior canzone originale per “Ciao Papa“). Sempre per la categoria Miglior film d’animazione, “Pinocchio” ha ricevuto anche l’Oscar 2023 per questa categoria.
Recensione
Parlare di un film che sembra esser piaciuto indistintamente a tutti, pubblico e critica, non è facile; soprattutto se se ne vuol parlare in maniera non propriamente lusinghiera. Talvolta accade però che l’adesione a-critica a un giudizio su di un’opera artistica semplicemente sulla base del “mi piace perché piace a tutti” sia mortifera proprio nei confronti della stessa opera. Volendo parlare quindi del “Pinocchio” diretto dal celebre cineasta messicano Guillermo del Toro, quel complemento del titolo “di Guillermo del Toro” suona dunque perfettamente programmatico, annunciando in pratica come il film rifletta con precisione l’occhio acuto e lo stile esteticamente ammaliante del suo autore.
Malgrado ciò, se vogliamo provare a tralasciare per un attimo l’inconfutabile bellezza della pellicola, noteremo facilmente come molti dei tocchi narrativi di questo film d’animazione girato utilizzando la tecnica dello stop-motion non funzionino del tutto, ma lascino dietro di sé una composizione tanto visualmente squisita quanto emotivamente sterile. Del Toro si può dire racconti la favola bella di Carlo Collodi in un certo qual modo dissacrandola: ovvero ammantandola di una scurezza quasi gotica che non le sarebbe esattamente propria né probabilmente congeniale, e rendendola mediante un gesto totalmente creativo un pupurrì di amore, guerra e morte, il che sembrerebbe tuttavia infiacchire un bel po’ l’incantazione del materiale originario, oltre che rendere il film inadatto a una visione da parte di quel pubblico più giovane al quale una storia del genere dovrebbe in teoria essere maggiormente indirizzata.
La confusione, insomma, possiamo dire che regni sovrana, cosicché il film si trova in pratica costretto ad annaspare tortuosamente fra l’amabilità di un racconto collodiano volutamente poco rispettato dal punto di vista filologico e una notazione pseudo-ideologica che del Toro vuole evidentemente schiaffarci dentro ad ogni costo. Potrà non sorprendere che il creatore di un’opera maliosa come “Il labirinto del fauno” si prodighi in qualsiasi circostanza per far sì che i suoi lavori colpiscano soprattutto dal lato tecnico-formale, prima ancora che contenutistico. Ciò non toglie che pur apprezzandone arditezza ed eleganza, non possiamo non esprimere la nostra delusione per un lavoro certamente intenso e molto ben realizzato, ma nel quale l’effetto complessivo è così congestionato da una trama lugubre e tremendamente desolante che chi ha scritto il vero “Pinocchio” verosimilmente si sentirebbe tradito.
Note di regia
Il paradosso è che sono tutti gli altri a comportarsi come marionette, in nome dell’obbedienza cieca. Il burattino è l’unico che si rifiuta di seguire le regole. È bellissimo. Ai miei occhi, invece, è la disobbedienza a essere una virtù necessaria, soprattutto oggi. Volevo dire che Pinocchio deve essere amato senza cambiare. Pretendere che qualcuno si trasformi come requisito per amarlo mi sembra un ricatto terribile. Inaccettabile. E abbiamo pensato fosse bello mostrare come Geppetto, Grillo e Spazzatura, cambino per amore di Pinocchio. Covid, guerra, si vive a stretto contatto con la morte, anche a Pinocchio accade, affiora nelle sue bruciature nere. Il rapporto con Pinocchio è iniziato quando ero piccolo. Quello Disney del 1940 è stato il secondo o terzo film che ho visto con mia madre. Mi impressionò nel profondo: per la prima volta ho sentito quello che di fragile e terribile si prova da bambini. Mi fece paura e insieme mi ci riconobbi. Mi sentivo come lui