Dopo l’apparizione al Festival di Cannes per presentare il suo nuovo film Killers of the Flower Moon, il regista di culto Martin Scorsese è atterrato in Italia, precisamente a Roma, per incontrare il pubblico in quello che è stato un evento straordinario e per contribuire alla programmazione della Casa del Cinema, oltre che per tenere una masterclass davanti agli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia.
La sera di martedì 30 maggio, davanti ad una folla gremita di ammiratori e amanti del cinema che ha riempito una parte di Villa Borghese, l’autore ha tenuto un discorso autentico e libero dalle catene formali e istituzionali che solitamente avvolgono eventi di questo genere.
In attesa che Killers of the Flower Moon esca nelle sale italiane (dobbiamo aspettare il 19 ottobre), il regista italo americano ha fatto un grande regalo a Roma e alla Casa del Cinema: gli è stata dedicata e affidata la rassegna Carta Bianca, per la quale ha selezionato una parte della programmazione del mese di giugno, accoppiando alcuni dei suoi film più importanti con i capolavori del cinema internazionale che in un modo o nell’altro hanno ispirato la sua produzione artistica.
Martin Scorsese, prima ancora di essere un autore e regista, è un grande cultore del cinema in tutte le sfumature, uno spettatore attento ed appassionato, ma soprattutto umile e rispettoso del mestiere. Più volte infatti, quando gli è stato chiesto un confronto tra le sue opere e quelle che ha deciso di affiancarvi nella programmazione, ha precisato che sarebbe impossibile per lui metterle a paragone, rinnovando la propria stima incondizionata verso i maestri che gli hanno fatto amare l’arte cinematografica.
Dalle parole del regista è emersa prepotentemente l’ammirazione verso il cinema italiano e per ciò che esso rappresenta sul piano mondiale. Dopo le lodi a Il Sorpasso di Dino Risi, uno dei pilastri assoluti della commedia all’italiana, ha parlato con entusiasmo di Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci, da lui sempre idolatrato come un maestro:
Quando lo vidi a New York per la prima volta a 23 anni, tutti gli scattavano delle foto e io ero lì che lo guardavo proprio come una divinità, questo grande genio. Mi affascinava completamente e in parte era dovuto all’ambizione, poiché volevo essere come lui, ma quello che mi aveva sopraffatto era proprio la potenza della bellezza del suo film. Dentro di me c’è sempre stato un impulso a creare qualcosa. Dopo quella visione si è come scatenato facendomi trovare il coraggio di farlo.
Scorsese, d’altra parte, non ha mai nascosto la smisurata passione che lo lega agli autori nostrani ed anzi ha spesso analizzato e approfondito i loro percorsi creativi, come nel caso del documentario Il mio viaggio in Italia, nel quale si impegna a commentare alcune sequenze dei film più significativi di De Sica, Visconti, Antonioni, Fellini, Rossellini, Blasetti e Pastrone.
Un altro regista decisivo nella formazione artistica di Scorsese è certamente John Cassavetes:
L’unico rapporto che sussiste tra il mio film Chi sta bussando alla mia porta e il film Ombre di Cassavetes è che, quando ho visto quel film, mi sono detto: “Non ci sono più scuse, se si può fare un film in questa maniera, con quelle poche apparecchiature che Cassavetes ha usato, con gli attori, con quel tipo di produzione… allora non c’è bisogno di aspettare un grande Studio alle spalle che te lo produca o di avere grandi macchinari, serve solo un’immensa passione e il desiderio di trasporla sullo schermo. Quindi, Chi sta bussando alla mia porta non ha in alcun modo la possibilità di essere comparato al capolavoro di Cassavetes, però è da lì che è nato.
L’umiltà e la consapevolezza che traspaiono da questa specifica riflessione e in generale da tutte le osservazioni che Martin ha regalato durante l’incontro, hanno emozionato profondamente gli spettatori presenti, i quali hanno accompagnato gli aneddoti del regista con fragorosi applausi e plateali dimostrazioni d’affetto.
L’autore si è espresso anche a proposito di Cape Fear, dodicesimo film della sua immensa produzione, conturbante rifacimento de Il Promontorio della paura:
Cape Fear è un tentativo di entrare nel mainstream del genere horror/thriller, anche con un gusto un pò gotico del sud. C’è questo senso di paura innato all’interno della famiglia, e poi arriva lui (il personaggio di Robert De Niro) che come un tuono, uno schianto, fa uscire allo scoperto tutta questa paura.
Arrivato il momento di rapportarlo a Night of the Hunter, la pellicola che lo ha ispirato, ha nuovamente affermato con umiltà di non reggere il confronto. Poi, quando il moderatore dell’incontro Gianluca Farinetti ha chiesto al pubblico chi non avesse ancora visto il film di Charles Laughton, Scorsese è scoppiato a ridere indicando i “colpevoli” con il dito:
Segnate i loro nomi! Registrateli!
Un altro dei dualismi cinematografici proposti da Scorsese per la rassegna è quello tra il suo The Departed, premiatissimo agli Oscar e in tutto il mondo, persino ai nostri David di Donatello come miglior film straniero, e Cenere e Diamanti di Andrzey Wayda. “Come mai?”, gli chiede Farinetti.
Tutte le scuse sono buone per far vedere Cenere e Diamanti. Tutte le scuse sono buone per far vedere i film di Wayda, di Polanski… per far vedere tutto il cinema polacco! Cenere e Diamanti, in particolare, mi ha colpito con grande forza: il personaggio principale del film, interpretato da Zbigniew Cybulski, è molto simile a quello di Leonardo Di Caprio in The Departed.
Oltre ad essere un modo per svelare i collegamenti tra le proprie creazioni e quelle che lo hanno ispirato in quanto regista, Carta Bianca è stata una grande occasione per lo Scorsese cinefilo di suggerire al pubblico alcune delle visioni da lui ritenute fondamentali.
Ho scelto questi film per voi, perché voglio che veniate a vederli!
Scorsese ha poi raccontato alcuni retroscena sulla realizzazione di Mean Streets, il film che la Casa del Cinema ha proiettato sul grande schermo in seguito al dialogo con il pubblico:
Quando alla prima di Mean Streets chiesero a mia madre cosa pensasse di suo figlio, fu subito severa nella risposta, spiegò che a casa mia non si dicevano tutte quelle parolacce e che non aveva idea di dove le avessi imparate.
Per questo film, il regista ha attinto da alcune esperienze giovanili di vita vissuta, arricchendolo di una forte componente autobiografica:
Ci ho impiegato cinque, sei anni di scrittura, è stato anche Cassavetes a spingermi a farlo, è lui che mi ha dato il coraggio. Il personaggio di Charlie, interpretato da Harvey Keitel, in parte sono io. All’epoca, oltre ad essere quello, ero anche uno studente alla New York University, in un certo senso mi sdoppiavo. Quindi dovete immaginarvi un pò il Charlie del film che contemporaneamente cerca di leggere Henry James!
Non tutto ciò che accade in Mean Streets era preparato o messo per iscritto nella sceneggiatura originale, il film è stato anche costruito sul set con una buona dose di improvvisazione:
L’improvvisazione è soprattutto nel dialogo che c’è all’inizio del film, nel retro del bar, tra il personaggio di De Niro e quello di Keitel, ed è stato proprio De Niro che mi ha spinto a fare questa improvvisazione, perché lui conosceva molto bene la gente del posto, la gente di cui parlavamo. Voleva trasmettere quanto il suo personaggio fosse bravo ad accattivarsi tutti nonostante i debiti che gli pendevano sul collo, e questo è diventato il fulcro del film, ciò che lo ha ben piantato per terra.
Scorsese ha presentato il film al Festival di Cannes del 1974 e ha dichiarato di ricordare con estrema nostalgia quel momento, poiché non essendo ancora conosciuto nessuno gli chiedeva l’autografo e poteva godersi le opere degli altri registi.
Non pensavo mai che il film sarebbe uscito nelle sale… però almeno, intanto, l’ho fatto!
Martin Scorsese, seppur con travolgente ironia, ha espresso tutto il suo amore incondizionato per il cinema e ha ricordato ai giovani aspiranti artisti che la passione e la voglia di raccontare e raccontarsi sono decisamente più importanti delle dinamiche del mercato e del successo commerciale di un prodotto.
In attesa di gustarci il suo Killers of the Flower Moon, pronto a sbarcare nelle sale italiane in autunno, osannato dalla critica internazionale, sappiamo per certo che Scorsese sta lavorando ad un’opera incentrata su Gesù, che sicuramente si distinguerà da L’ultima tentazione di Cristo, controversa pellicola del 1988 in cui già aveva affrontato la figura biblica con la maestosità e l’estro che lo contraddistinguono.