Anche in Italia è arrivato il momento di godersi Oppenheimer, il nuovo lavoro di Christopher Nolan, uno dei pochi registi e autori capaci di coniugare autorialità e sensazionalismo da grande pubblico. Il regista inglese, cimentandosi nella sua prima opera biografica e nella seconda di interesse storico dopo Dunkirk, è riuscito già a portare a casa un incasso mondiale stratosferico, scegliendo per l’ennesima volta un argomento talmente attuale da risultare spaesante ed emotivamente distruttivo.
Andiamo ad analizzare nel dettaglio le sfumature e i sorprendenti guizzi creativi di un film che si presenta come un classico istantaneo di fondamentale importanza per la Storia del Cinema e per la maturità artistica di un autore dal linguaggio sempre più incisivo e universale.
L’eco extraterrestre
Non lo so, veda dove ci portano i calcoli, sarà un luogo dove nessuno è mai stato.
Che Oppenheimer contenga un pezzo dell’anima di Interstellar è evidente sin dai primi minuti di visione, allo stesso modo risulta impossibile assistere alle scelte di montaggio senza ricongiungersi spiritualmente al The Tree Of Life di Terrence Malick. Proprio all’interno di una storia che indaga da vicino l’umano in tutte le sue contraddizioni – come mai, in maniera così potente, era accaduto in un film di Nolan -, l’eco extraterrestre diviene infatti un elemento imprescindibile per (non) comprendere e sporcare di mistero i salti evolutivi del nostro pianeta e della nostra specie.
Il filo rosso che lega questo film alle atmosfere di Interstellar si palesa visivamente nelle fervide allucinazioni del protagonista, il quale si riempie gli occhi di moti spaziali e costellazioni in un’alternanza di immagini ancestrali che rimandano all’enigma della Creazione, e concettualmente nel desiderio – figlio di un progresso talvolta regressivo o comunque sinonimo di tracotanza – umano di superare i limiti della conoscenza sovrapponendosi al dio cui si tende quando ci allontaniamo dalla natura animale, che in un secondo momento torna alla carica impetuosa e inesorabilmente, ancora una volta, ci contraddistingue.
Einstein ha aperto la porta, ora noi vediamo un mondo dentro il nostro mondo.
La bomba atomica, non a caso definita dal protagonista “rivelazione della potenza divina”, rappresenta questa hybris alla perfezione, una forza incontrollabile e incontrollata che nasce come una geniale invenzione ma presto diventa, nelle mani del potere e della scelleratezza umani, la più tremenda arma di distruzione. Il nuovo approccio radicale alla fisica che Oppenheimer dapprima sperimenta e poi cerca di insegnare è tanto rivoluzionario quanto insidioso e controverso, poiché spinge l’umanità a porsi un dilemma etico senza precedenti, per giunta durante un conflitto mondiale.
D’altronde, lo stesso Einstein appare consapevole di come la scintilla di una grande intuizione teorica possa trasformarsi praticamente nel seme della discordia. Ci troviamo di fronte ad una questione biblica, in un’ottica secondo la quale nel Gan Eden non sarebbe avvenuto alcun peccato originale – così come nel film non vi è un vero e proprio peccato, né un vero e proprio peccatore -, bensì un primo deflagrante assaggio della conoscenza. In questo caso, non si tratta esattamente di una prima volta per l’essere umano, ma certamente di una delle più rilevanti e la mela che il protagonista impugna e avvelena in una delle sequenze iniziali potrebbe in tal senso simboleggiare la gioia della scoperta e insieme il peso delle sue implicazioni.
Il buio sgargiante
Oppenheimer è un’opera complessa, permeata di contraddizioni e dualismi: fissione e fusione, buio e luce, silenzio e frastuono, bianco e nero, razionalità e irrazionalità, orgoglio e pentimento, Kitty e Jean, Oppenheimer e Einstein, Oppenheimer e Strauss, scienza e politica, Stati Uniti e Russia. Nolan, consapevole della rilevanza storica e delle controversie di ciò che sta raccontando, aumenta esponenzialmente il volume delle sfumature insistendo nell’oscillazione tra gli estremi concettualmente ed emotivamente opposti, che in maniera paradossale finiscono per venirsi incontro e completarsi a vicenda invece di ridursi ad un prevedibile scontro.
La reciproca sublimazione di concetti discordanti si presenta dunque come il vero punto nevralgico del film e viene rincorsa tanto a lungo dal suo autore da divenire ossimorica: l’esempio più lampante è rappresentato visivamente dall’oscurità degli avvenimenti e del progresso scientifico e dal modo in cui questa risulti al contempo sgargiante, poiché irradiata dal lume della conoscenza e dalla scintilla – la stessa che ha prodotto il fuoco e nondimeno quella delle stelle che rendono visibile lo Spazio – dell’evoluzione umana.
La luce, dal canto suo – in particolare quella sprigionata dalla prima esplosione della bomba, cui Oppenheimer assiste nascosto dietro un vetro che, non a caso, ricorda l’oblò di una navicella spaziale -, vive una condizione del tutto analoga: nel suo essere (onni)potente e quasi accecante, è minacciata dal – oltre a convivere con il – buio dell’oblio che ne consegue.
Il suono in(el)udibile e il silenzio assordante
Il medesimo rapporto ossimorico si estende nel film sul piano della dinamica sonora, che Nolan lascia ondeggiare tra eccessi e mancanze per arrivare a confonderne i livelli di significato e di percezione uditiva. Nella già citata sequenza dello scoppio della bomba atomica, peraltro colonna fondamentale e nucleo drammaturgico dell’intera opera, silenzio e frastuono si alternano pericolosamente fino a coincidere: il suono è talmente ancestrale da risultare inudibile ed extra sensoriale, eppure è senza dubbio inevitabile, in quanto genesi della creazione allo stesso modo in cui il primo suono che ha squarciato il silenzio del cosmo è all’origine dell’altrimenti inspiegabile – e ugualmente non spiegata – esistenza. Altrettanto oneroso, nella sua vuotezza spettrale, è però il silenzio, paradossalmente assordante e anch’esso impossibile da evitare.
In Oppenheimer troviamo alcuni momenti nei quali le simultanee contraddizioni dell’aspetto uditivo di silenzio e frastuono arrivano addirittura a fondersi con quelle dell’aspetto visuale di buio e luce, dando forma ad una incontenibile implosione che avviene sempre in presenza – o ai danni – del protagonista, simbolo totalizzante dell’azzeramento del confine tra giusto e sbagliato e di un mistero che lacera soltanto chi cerca ingenuamente di risolverlo. Proprio come funziona per un grande film, per gli ammalianti e autentici squarci di grande cinema.