La Bête, il nuovo film di Bertrand Bonello presentato in anteprima all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia, si presenta come un esperimento distopico di matrice fantascientifica che attraversa epoche e dimensioni, schermi e piani di realtà differenti, assemblati con disordine dal filo rosso di una storia d’amore melodrammatica legata sensorialmente agli spazi e ai tempi in cui viene (s)composta.
Indice
La Bête: tutte le informazioni
Trama
In un futuro prossimo, nel quale le emozioni sono ormai una minaccia, Gabrielle sceglie di purificare il suo DNA tramite una macchina che la immerge nelle sue vite precedenti. Questo meccanismo la libera così da ogni sentimento dirompente. In seguito la donna incontra Louis, con il quale stringe sin da subito un forte legame, come se i due si conoscessero da sempre.
La storia si delinea su tre periodi distinti e distanti tra loro: il 1910, il 2014 e il 2044.
Crediti
- Data di uscita: 3 settembre 2023 (anteprima Venezia)
- Regia: Bertrand Bonello
- Sceneggiatura: Bertrand Bonello, Guillaume Bréaud, Benjamin Charbit
- Genere: Drammatico, Fantascienza, Sentimentale
- Montaggio: Anita Roth
- Fotografia: Josée Deshaies
- Musiche: Bertrand Bonello, Anna Bonello
- Produzione: Les Films du Bélier, My New Picture, Sons of Manual, Arte France Cinéma, Ami Paris
- Distribuzione: I Wonders Pictures
- Attori: Léa Seydoux, George MacKay, Guslagie Malanda, Tiffany Hofstetter, Julia Faure, Philippe Katerine, Lottie Andersen, Tom Neal, Parker Henry, Thomas Hayward, Jiselle Henderkott, Veronica Szawarska, Kester Lovelace, Jo Jappont
Recensione
L’eclettico Bertrand Bonello si conferma una specie di architetto dell’onirico e del surreale, un costruttore di mondi alternativi (ma non per questo non coincidenti) al nostro, di abitazioni tremanti dalle mura fragili pronte ad essere abbattute, un fabbricante artigianale e insieme demolitore di universi vividi e al contempo appassiti e fatiscenti, un demiurgo luciferino che divora con foga la linea di confine tra sogno e realtà, allo stesso modo in cui Merde – la Bestia di Holy Motors, di cui questo film è parente obbligato – divora con fare animalesco il mazzo di fiori prima di rapire una modella – che, non a caso, è anche una delle professioni della protagonista di La Bête – e trascinarla nella grotta (anti) platonica della conoscenza, dove la vera luce è rappresentata dal buio e da una mostruosa ma tenera erezione.
Tenera è nondimeno l’attrazione provata da Louis nei confronti di Gabrielle, che guarda caso diviene mostruosa proprio nella parte di storia ambientata in epoca contemporanea – simbolo di una frenetica e inafferrabile disgregazione che anche Leos Carax sceglie come nucleo fondante del suo Holy Motors -, periodo storico di per sé mostruoso nel quale il desiderio di sentirsi bella e accettata si trasforma (letteralmente!) nella volontà quasi obbligata di ricorrere alla chirurgia plastica e la necessità di amare e sentirsi amato si traduce in spersonalizzazione, isolamento e senso di inadeguatezza, video pubblici sui social network, psicologismi e conseguenti psicopatie.
Nel futuro immaginario del film, inoltre, l’intervento estetico artificiale trova il suo corrispondente nel ritocco biologico del DNA, definito ironicamente “purificazione”. Insomma, una specie di ritorno delle Macchine Sacre di Carax, che fissano i dogmi di una sempre più consolidata “re(li)gione del non vivere”. D’altronde, la sequenza finale di La Bête e quella iniziale di Holy Motors risultano speculari nell’auspicare un’uscita meta cinematografica certamente traumatica, eppure liberatoria, dal letargo creativo e spettatoriale, ma prima di tutto umano, in un mondo alla deriva dove l’amplesso tra la Bella e la Bestia di Holy Motors riesce ad esistere solo nella finzione della resa digitale, così come quello dell’opera di Bonello può avvenire unicamente all’interno dei sogni dei protagonisti.
Un altro (nobile) intento che La Bête e Holy Motors si trovano a condividere è quello di giocare con il linguaggio del cinema ricorrendo, coerentemente con la questione post moderna che decidono di fronteggiare, ad una problematica e complessa frammentazione che confonde i piani di realtà, sdoppia i protagonisti e i loro corpi e, in maniera inevitabile, anche gli schermi e l’apparente unità delle immagini. Il risultato è un terremoto – che nel film di Bonello è tangibile e in quello di Carax metaforico o, per meglio dire e in quanto causa del suo spingersi ancora più oltre, digitale – concepito come aderente all’ordine naturale delle cose da chi è abituato alla suddetta frammentarietà.
Come nei migliori episodi del suo ideatore – elevato qui all’ennesima potenza nel suo atto creativo -, l’impalcatura futuristica di La Bête contempla voci e corpi fuori campo, che parlano ai personaggi del film e allo spettatore senza dare loro punti di riferimento: escluse dal profilmico, queste (non) presenze spiazzano nella misura in cui non ci è dato sapere dove, come e perché hanno scelto di palesarsi, allo stesso modo degli schermi, delle pubblicità e delle icone del computer; sono virus fisiologici ancor prima che virtuali, impossibili da combattere e debellare.
Conclusioni
Bertrand Bonello sconvolge la Mostra del Cinema di Venezia con un’opera ibrida e sperimentale che riscrive le regole del cinema di genere, non vince in concorso ma si candida a ricevere un agognato premio distributivo – grazie anche, forse, alla presa in gestione italiana di I Wonder Pictures – che renda giustizia alla magnifica imprudenza dell’autore francese. Amatissimo dal pubblico della Biennale, l’esperimento sensoriale di Bonello sta già raccogliendo plateali stroncature da parte della critica erudita, indottrinata e dottrinale ma questo, inutile nasconderlo, non fa che raddoppiare il nostro godimento.