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Venere in pelliccia – Recensione

Roman Polanski strizza l’occhio al teatro con una brillante opera cinematografica interamente ambientata su un palcoscenico 

(Venus in Fur) Regia: Roman Polanski – Cast: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric – Genere: Drammatico – Produzione: Francia, 2013 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 14 novembre 2013.

venereinpellicciaA due anni da “Carnage”, Roman Polanski propone una nuova opera cinematografica ispirata al teatro. “Venere in pelliccia” è completamente ambientato su un palcoscenico dove due soli personaggi si confrontano per 96 minuti. Lui, Thomas, è l’autore dell’adattamento teatrale del romanzo del 1870 di Leopold von Sacher-Masoch; lei, Vanda, viene provinata per il ruolo della protagonista. Inizialmente la donna, volgare e stupida, appare assolutamente inadatta per la parte, ma, nel momento in cui inizia a recitare, si trasforma: sa a memoria tutte le battute, indossa un abito d’epoca da lei stessa acquistato per l’occasione, e capisce intimamente il personaggio. Thomas è stregato dall’interpretazione di Vanda e finisce per passare tutta la notte a teatro provando con lei l’intero spettacolo, che, a mano a mano che i due proseguono a recitare le battute, sembra confondersi sempre più con la realtà.

È una pellicola essenziale e sapiente quella che Roman Polanski ha presentato In Concorso al Festival di Cannes 2013. Il cineasta polacco sceglie una regia pressoché invisibile, che mai distrae lo spettatore dai gesti e le parole dei due protagonisti. La colonna sonora è anonima, il montaggio minimale; Polanski predilige il piano sequenza perché dà modo agli interpreti di avvicinarsi il più possibile ai tempi e i canoni della recitazione teatrale. L’unico aspetto tecnico su cui il regista decide di fare leva è la fotografia che, incupendosi progressivamente, accompagna il lento trasformarsi del palcoscenico in un ambiente reale, dove Thomas e Vanda non sono più un uomo e una donna che recitano delle battute, bensì una coppia innamorata e ossessionata che crede in ciò che dice.

Se già con “Luna di fiele” (1992) e poi con “Carnage” (2011), Polanski aveva manifestato la sua predilezione per il cinema scarno da tutti quegli ornamenti superflui che, seppur ottimi nel creare atmosfere accattivanti, distolgono l’attenzione dalla sceneggiatura e le interpretazioni degli attori, in “Venere in pelliccia” la formula già testata dal regista raggiunge i massimi livelli. Con un cast di soli due attori, Polanski eleva al massimo delle possibilità quel genere di cinema che imita il teatro e che tanto gli è caro. Si concentra sugli aspetti basilari dell’arte cinematografica, scrivendo, a quattro mani con l’autore teatrale David Ives, un testo pungente che affida a due interpreti d’eccezione quali sua moglie Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric.

Magnetica e provocante, lei; scrupoloso e insicuro, lui: le loro diversità li rendono una coppia tremendamente affascinante. Emmanuelle Seigner è in grado di mutare, con una rapidità impressionante, e in questo è una credibilissima Vanda: le basta uno sguardo per dire al pubblico che ha ripreso a recitare, a vestire i panni della dama ottocentesca, un minimo cenno per anticipare il commento che sta per fare in qualità di attrice e non di personaggio. Anche Mathieu Amalric dimostra di essere un interprete di talento grazie alla sua performance di un uomo apparentemente pedante e sicuro di sé, ma pronto a rendersi succube di una donna autoritaria.

Come “Carnage” anche “Venere in pelliccia” saprà stregarvi, inquietarvi e divertirvi: Roman Polanski non delude le aspettative.

Corinna Spirito

Venere in pelliccia – Recensione

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