Nelle ultime settimane, James Callis ha catturato l’attenzione del pubblico con il suo nuovo ruolo di Claude Whelman, direttore generale dell’MI5, nella serie Slow Horses di Apple TV+. Il personaggio, che aggiunge una dinamica interessante alla spy story, si distingue per la sua vulnerabilità in un ambiente di alta tensione e per i suoi scambi con la protagonista, interpretata da Kristin Scott Thomas. Con una quinta stagione già in produzione, abbiamo avuto l’opportunità di approfondire il punto di vista di Callis riguardo al suo nuovo incarico, ai colleghi e alla vera essenza della serie.
La squadra di Slough House: una nuova avventura in un contesto complesso
Arrivare a una quarta stagione di una serie è sempre una sfida, specialmente quando l’atmosfera fra i personaggi è così carica di tensione. James Callis, interprete di Claude Whelman, racconta di come sia approcciato a questo nuovo ruolo. “Ho cercato di non pensare al fatto che i personaggi non si sopportano”, afferma, spiegando che, non essendo un attore di metodo, ha deciso di trattare il suo ingresso come se fosse il primo giorno di scuola per una troupe che già si conosceva. Questo approccio ha facilitato la sua integrazione in un team affiatato e professionale.
Durante le riprese, Callis ha subito notato un’atmosfera di sostegno e umorismo sul set. Questi elementi risultano cruciali in una narrazione che affronta temi di spionaggio e pericoli mortali. “C’è molto senso dell’umorismo sul set”, continua Callis, “ed è questo che rende facile raccontare storie di personaggi che rischiano la vita”. La sua interpretazione ha portato freschezza in un ambiente già consolidato, dimostrando come anche i nuovi arrivi possano contribuire a mantenere viva l’energia della produzione.
Il dinamico rapporto tra Claude e Diana: un gioco di potere intrigante
Il rapporto tra Claude Whelman e Diana, interpretata da Kristin Scott Thomas, si evolve in un gioco di potere complesso e affascinante. Callis descrive il suo personaggio come un “cane ingenuo e bisognoso di attenzioni”, in una situazione in cui si sente spesso un “pesce fuor d’acqua”. La loro interazione è caratterizzata da momenti di comicità tragica, creando un dialogo che evidenzia le differenze tra i due personaggi.
Claude si presenta come un individuo che desidera a tutti i costi piacere agli altri, mentre Diana è una figura più spietata e pragmatica. Callis erge il suo personaggio al rango di un “topo” in un universo in cui le carte in regola sono nettamente a favore di Diana, ma sottolinea che Claude è, al contempo, “affidabile” e “credulone”. Questo contrasto rende il loro scambio particolarmente intrigante, mentre si districano in un mondo di preziose alleanze e pericoli costanti.
Nonostante le prove che devono affrontare, Callis descrive il suo personaggio come non completamente pronto a navigare dalla vita al lavoro nel servizio segreto. “Claude è fin troppo rifinito e sofisticato per quell’ambiente”, spiega. Questo aspetto del suo personaggio diventa un punto centrale nel racconto della serie, portando il pubblico ad esplorare la vera natura del potere e della sopravvivenza nell’ombra.
Slow Horses: una serie che rompe gli schemi delle spy story tradizionali
Slow Horses si distingue nel panorama delle serie di spionaggio per il suo approccio realistico e “terra terra”. James Callis sottolinea come, per prepararsi al ruolo, abbia avuto l’opportunità di incontrare veri agenti dell’MI5, i quali gli hanno fornito dettagli clamorosi sulla burocrazia e le sfide quotidiane del loro lavoro. L’entità delle pratiche burocratiche è, secondo Callis, incredibile: gli agenti si ritrovano a gestire montagne di documenti, richiedendo precisione nelle informazioni e nelle richieste.
Questa visione “dietro le quinte” smentisce la glamourosa rappresentazione delle spie a cui siamo abituati dalla narrativa classica, come quella di James Bond. Callis rileva che la realtà di questo lavoro è fatta di file, attese e una complessità che spesso rimane in ombra. La serie riesce a presentare un quadro del mondo dello spionaggio che è altrettanto intrigante ma decisamente più autentico, rivelando che ogni informazione è colossale e interconnessa.
La riflessione finale di Callis getta luce sulla fragile bellezza della produzione: “Non avrei mai voluto quel lavoro nella vita reale. È troppo pesante da portare”. La sua visione sincera e dettagliata aiuta a delimitare un territorio in cui Slow Horses riesce a brillare, nuotando controcorrente rispetto a narrazioni più tradizionali e conformiste.