Il documentario “Come quando eravamo piccoli” di Camilla Filippi si presenta come un’opera dal profondo valore emotivo, in grado di toccare il cuore di chiunque abbia mai vissuto esperienze di separazione e nostalgia. Tramite la figura di Zio Gigio, l’attrice e regista è riuscita a costruire una narrazione che va oltre la sua storia personale, parlando di esperienze universali legate all’abbandono delle proprie radici, alla perdita e alla memoria. Il film è stato recentemente presentato in anteprima ad Alice nella Città, dove ha suscitato emozioni intense e un forte riscontro dal pubblico.
Un racconto intimo attraverso la figura di Zio Gigio
Zio Gigio, nato a Brescia nel 1957, è un personaggio emblematico che incarna le sfide vissute da tante persone, specialmente coloro che, per ragioni mediche, affrontano difficoltà dalla nascita. A causa di lesioni cerebrali provocate da forcipe, Gigio ha vissuto una vita che lo ha portato a diventare ipovedente. Dopo anni di lavoro come dipendente di una categoria protetta, ora è giunto il momento della sua pensione, un evento che ha stimolato Camilla Filippi a intraprendere questo viaggio di scoperta e riscoperta. Insieme a suo fratello Michele, la regista ha esplorato il legame profondo e affettivo con suo zio, mettendo in luce le sfide e la gioia di una vita vissuta a pieno.
Il documentario sottolinea l’importanza della famiglia e delle relazioni che ci legano, un tema centrale che emerge dalle parole della Filippi. La sua intenzione non è solo documentare la vita di Zio Gigio, ma anche riflettere su come la sua storia personale possa rappresentare un microcosmo delle esperienze di molte famiglie in situazioni simili. Come Filippi stesso ha espressamente dichiarato, il film è una sorta di viaggio nel tempo, un’excursus che conduce a esplorare le emozioni e i ricordi attraverso una narrazione sincera e coinvolgente.
Un approccio cinematografico che avvicina il pubblico alla fragilità umana
Camilla Filippi ha saputo infondere nel documentario uno “sguardo diverso”, che consente di percepire la fragilità dei suoi protagonisti attraverso ogni scena. L’approccio narrativo si distingue per la sua delicatezza, dove i silenzi si intrecciano con le parole, creando una sinfonia di emozioni. L’attrice e regista ha rivelato di aver vissuto un periodo di grande introspezione prima di iniziare questo progetto, confidando di aver evitato a lungo di parlare della sua famiglia “particolare”. La rivelazione della pensione di Zio ha rappresentato una scossa emotiva, un invito a guardare oltre la superficie e a confrontarsi con il senso di colpa e la rinuncia clinica che molte persone avvertono quando si allontanano dalla loro casa e dai loro cari.
Filippi ha condiviso i ricordi legati a sua madre, che ha perso vent’anni fa, e l’impatto profondo che ha avuto su di lei nel rivedere vecchie riprese in VHS e diapositive. Questi oggetti materiali non solo evocano ricordi, ma rappresentano anche il passare del tempo in maniera tangibile. L’importanza della memoria è un tema ricorrente nel documentario, mettendo in evidenza quanto sia necessario tornare a esplorare il nostro passato per riconnetterci con noi stessi e con le persone che ci circondano.
Il ruolo di una regista: ispirazione e supporto familiare
Il cammino di Camilla Filippi come regista è stato fortemente influenzato dalla sua famiglia, che ha sempre incoraggiato la sua passione per l’arte. Fin da giovane, ha frequentato una scuola pubblica dove il teatro, l’educazione all’immagine e l’informatica erano parte della formazione. La sua madre ha sempre sostenuto i suoi sogni, portandola a provare in pubblicità e attività artistiche. Questo supporto costante le ha anche permesso di coltivare il suo talento, avviandola infine al mondo del cinema.
In un interessante racconto di esperienze passate, ha raccontato come un incontro casuale su un set di pubblicità l’abbia portata a scoprire l’opportunità di lavorare nel settore cinematografico a Roma. Questo incontro si è rivelato cruciale per il suo percorso artistico. Nonostante il supporto di sua madre, è stata anche testimone delle aspettative di suo padre, che la spingeva a trovare un lavoro “serio”. L’intersezione tra il supporto e le aspettative familiari ha giocato un ruolo significativo nel plasmarne l’identità come artista e nel riflettere sulla sua visione di ciò che significa essere regista.
Per Camilla Filippi, essere una regista significa raccontare storie, interpretarli e, talvolta, reinventarli. Questa passione per il racconto l’ha portata ad esplorare nuovi progetti, incluso un film di finzione che si ispira alle esperienze della sua vita e alle tematiche affrontate in “Come quando eravamo piccoli”. La continuità della sua opera di ricerca e riflessione sull’identità, purtroppo segnata da lutti e separazioni, mostra come l’arte possa fungere da catalizzatore per affrontare il passato e abbracciare il futuro.