Rita, il primo lungometraggio di Paz Vega come regista, si presenta come un’opera intensa e toccante, capace di affrontare temi di grande attualità. Ambientato nella calda estate del 1984 a Siviglia, il film racconta le sfide e i sogni di una giovane protagonista, offrendo uno sguardo fresco e originale che rende omaggio all’eredità di grandi maestri del cinema come Vittorio De Sica. Con una narrazione che evita l’emotività forzata, “Rita” esplora la complessa dinamica familiare e il desiderio di libertà attraverso la lente innocente di una bambina.
Un viaggio nella sensibilità infantile
La storia di “Rita” si svolge in un contesto quotidiano e familiare, seguendo le avventure di una bambina di sette anni, interpretata da Sofía Allepuz. Con un fratellino più piccolo, Lolo, da accudire e genitori che si muovono tra routine e conflitti, la piccola protagonista vive situazioni che oscillano tra giochi innocenti e tensioni sottese. Gli inizi dell’opera presentano una sequenza delicata, dove la cinepresa attraversa la cameretta di Rita, rivelando giochi e disegni sparsi sul pavimento, prima di rivelare l’interazione con la madre, Mari.
Questo espediente narrativo non è casuale: lo sguardo della macchina da presa è sapientemente posizionato all’altezza della protagonista, permettendo al pubblico di vivere gli eventi attraverso la sua prospettiva infantile. Gli adulti appaiono parzialmente inquadrati, suggerendo la distanza emotiva e il potere che gli eventi familiari esercitano su Rita. Questo approccio rende il film un omaggio all’arte narrativa di Vittorio De Sica, evocando una forma di cinema che privilegia l’innocenza e la scoperta della realtà da parte dei bambini.
Una storia di emancipazione e libertà
La trama di “Rita” si sviluppa in un andamento episodico, composto da quadretti di vita che raccontano il processo di crescita e emancipazione della giovane protagonista. Mari, intrappolata in una relazione con un marito violento e tirannico, diventa un simbolo della lotta per l’indipendenza femminile. La sua decisione di voler separarsi dal coniuge è complicata dalla mancanza di risorse e di sostegno. In questo contesto, Mari insegna a Rita un’importante lezione: l’importanza dell’indipendenza e della libertà.
La colonna sonora, creata da Pablo Cervantes, sottolinea la narrazione con un tono giocoso che contrasta fortemente con le tensioni che si sviluppano all’interno delle mura domestiche. “Rita” riesce a rappresentare, senza appesantire la storia, le lunghe ombre della violenza domestica e della manipolazione, offrendo uno spaccato realistico delle dinamiche familiari.
La voglia di prendere in mano la propria vita e quella di evitare il ripetersi di modelli tossici è al centro del messaggio del film. Ogni piccolo passo verso la realizzazione della propria autonomia è carico di significato e rappresenta una sfida combattuta con responsabilità. Le donne che lottano per la propria libertà, come Mari, offrono uno spaccato di resilienza e forza, elementi fondamentali nella crescita di qualsiasi individuo.
Un film che porta alla riflessione
“Rita” non si limita a raccontare la storia di una giovane bambina, ma va oltre, proponendo una riflessione profonda sulle relazioni interpersonali e sul concetto di libertà femminile. Con una regia curata e attenta, Paz Vega riesce a dar vita a un’opera che parla tanto al cuore quanto alla mente di chi osserva. La giustapposizione tra l’innocenza di una bambina e le pressioni sociali e familiari crea una narrativa potente, capace di stimolare empatia e comprensione.
Il film si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso le questioni di genere, offrendo una narrazione fresca e necessaria che non teme di affrontare le difficoltà quotidiane e le sfide che molte donne si trovano ad affrontare. Sottolineando l’importanza di raccontare storie di emancipazione, “Rita” si presenta come una delle opere da tenere d’occhio nel panorama cinematografico contemporaneo.