Longlegs, la più recente opera del regista e sceneggiatore Osgood Perkins, si distingue nel panorama del cinema horror contemporaneo per la sua profonda riflessione sulla memoria e sull’orrore insito nel passato. Emerso in un contesto cinematografico caratterizzato da film horror tradizionali, Longlegs propone una trama intrigante che stimola domande esistenziali, oltre a presentare sequenze di puro terrore, tra cui uno dei jumpscare più efficaci degli ultimi anni. Il film dura 101 minuti, ma la sua eco persiste anche una volta spente le luci della sala. Gli spettatori si trovano di fronte a una questione centrale: Longlegs può essere considerato uno dei migliori film horror degli ultimi tempi? La risposta, ricca di sfumature, porta a riflessioni sul genere e sull’impatto emotivo della pellicola.
L’immagine inquietante di Maika Monroe
Il volto di Maika Monroe, che interpreta Lee Harker nella pellicola, rimane impresso nella memoria del pubblico. Dopo aver conquistato gli spettatori in titoli precedenti come It Follows, Monroe si conferma come una delle final girl più convincenti del genere. La sua performance enfatizza l’aspetto psicologico del film, rispecchiando le trasformazioni e le sfide del personaggio in una narrazione che si snoda attraverso gli anni ’90 dell’Oregon, con flashback che risalgono agli anni ’60. La scelta del regime temporale consente a Perkins di esplorare le radici di un male che si perpetua nel tempo, rendendo la figura di Lee particolarmente complessa. La sua interazione con i simboli dell’orrore, come una bambola inquietante che rappresenta il potere manipolatorio di Longlegs, sfida il pubblico a riflettere su ciò che si cela dietro le apparenze e sulle ripercussioni che i segreti familiari e le scelte fatte dai genitori possono avere sui giovani.
Il male e la contagiosità del genere
Longlegs non è solo una semplice storia di un killer, ma esplora il concetto di contagiosità del male, simile a un virus in grado di infettare le relazioni familiari e le comunità. Il killer, che opera per induzione, richiama la figura di Charles Manson, fornendo spunti relativi alla manipolazione e all’evocazione di paure latenti. Nell’universo narrativo di Perkins, il male si presenta come un’entità che si insinua nel quotidiano, attraverso segnali che appaiono inizialmente innocui. La natura pervasiva del male è rappresentata dalle bambole, che diventano simboli del potere di Longlegs. Questi oggetti, che potremmo considerare innocui, diventano il veicolo di una suggestionabilità devastante, insidiandosi nelle famiglie americane fino a portarle a compiere atti di violenza inaudita. L’analisi del male in Longlegs non è un viaggio semplice; richiede una comprensione profonda di come la società reagisce e si confronta con questo aspetto della propria natura.
Il patto con il diavolo nella trama
Uno degli elementi più affascinanti della trama di Longlegs è il legame simbolico con il diavolo e il concetto di patto malefico. La figura di Dale Kobble, alias Longlegs, è centrale non solo per la brutalità dei suoi atti, ma anche per la sua interazione con Lee, che scopre nel corso della narrazione che le radici della violenza affondano nel suo passato. La madre di Lee, Ruth, ha accettato un patto oscuro, esponendo la sua famiglia a un destino tragico. Questa dinamica familiare riflette tematiche universali legate alla responsabilità e alle scelte, suggerendo che il male non è mai isolato, ma è trasmesso e perpetuato attraverso le generazioni. La disperazione di Lee nel tentativo di comprendere e combattere Longlegs mette in luce il tragico ciclo di violenza e traumi irrisolti. La sua ricerca della verità è ostacolata da un ambiente già compromesso, come dimostrano le esperienze eroiche ma tragiche di altre vittime. La rappresentazione del male come un’eredità tormentosa rende Longlegs un thriller non solo avvincente, ma anche profondamente inquietante.
L’apoteosi dell’orrore: la resa dei conti finale
L’apice della narrazione si raggiunge in un finale che combina elementi di suspense e dramma familiare. La resa dei conti tra Lee e Dale non è solo una questione di sopravvivenza, ma lievemente un confronto con il proprio passato e le scelte compiute da coloro che l’hanno preceduta. Quando Lee si trova di fronte all’orrendo segreto che collega sua madre a Dale, il film culmina in una rivelazione straziante su quanto possa essere profondo il legame tra vittima e carnefice. La domanda che aleggia è se Lee, consapevole della sua eredità, possa spezzare il ciclo o se, invece, erediterà il volere malefico di Longlegs. L’instabilità emotiva di Lee, amplificata dalle sue scelte disperate nei confronti della sua madre manipolativa e del killer, rende il finale ancora più angosciante.
In un mondo in cui l’orrore si cela sotto la superficie della quotidianità, Longlegs ci invita a riflettere sull’essenza del male e sulla fragilezza delle dinamiche familiari. I titoli di coda scendono lentamente, lasciando il pubblico con interrogativi che risuonano a lungo, un invito a guardare oltre la superficie e a confrontarsi con i propri demoni.