Il nuovo film di Osgood Perkins, “Longlegs”, sta catturando l’attenzione degli appassionati di horror negli Stati Uniti grazie a un approccio innovativo che privilegia la suspense e la tensione psicologica. La pellicola si distingue per l’uso sapiente dell’ellissi e dell’ammonimento, mettendo al centro una narrazione che gioca con le aspettative del pubblico e mantenendo il mistero intorno alla figura inquietante interpretata da Nicolas Cage. Con una presentazione visiva ricercata e una trama avvincente, “Longlegs” si candida a diventare un nuovo classico nel panorama del cinema thriller-horror.
Un prologo che cattura l’attenzione
I primi minuti di “Longlegs” sono un’ode alla costruzione della tensione. Il prologo, ambientato nell’inverno del 1974, si apre con un’atmosfera immersa nella neve dell’Oregon, dove una bambina viene attratta dall’arrivo di un’auto e dall’apparizione di una figura misteriosa. Con il sottofondo musicale dei T. Rex, l’utilizzo di inquadrature che mantengono il pubblico nell’incertezza sorprende e coinvolge. La strategia di Perkins qui è evidente: utilizzare tecniche di omissione per far crescere l’aspettativa e l’ansia. Il mistero dell’identità dell’osservatore all’interno dell’auto viene svelato solo in seguito, trasformando la visione in un’esperienza interattiva, dove l’immaginazione dello spettatore è chiamata a giocare un ruolo fondamentale.
Questo approccio si rivela efficace, perché non serve chiarire immediatamente chi sia questa figura inquietante; l’ignoto è spesso più spaventoso dell’orribile realtà che viene svelata. I movimenti furtivi della camera, unitamente a un calibrato uso dei suoni, contribuiscono a creare quella sensazione di claustrofobia e ansia che permea ogni scena. La prima parte del film si sviluppa nel segno di quest’atmosfera tesa, mantenendo lo spettatore in un costante stato di allerta e curiosità.
La figura minacciosa di Nicolas Cage
Nicolas Cage, nei panni del serial killer eponimo, inietta una dose di inquietudine nel film attraverso la sua interpretazione, che gioca sull’elemento del “quasi mostro”. La scelta di presentarlo in modo parziale, mantenendo gran parte del suo volto nell’oscurità, aumenta la tensione. La figura del killer, che si manifesta con una maschera di cerone bianco, diventa un simbolo della paura insita nel film. Le azioni del personaggio sono sempre tenute al margine della visibilità, il che amplifica la tensione narrativa.
Cage porta sullo schermo una performance che combina fragilità e terrore, utilizzando la sua voce e il linguaggio del corpo per comunicare una minaccia palpabile. La costruzione di questa figura diventa un abile gioco di ombre, dove l’orrore non è mai completamente rivelato. Di fatto, Perkins evita di mostrare il brutale comportamento del protagonista, lasciando invece che le conseguenze delle sue azioni parlino da sole. Questo approccio consapevole rende il film meno un catalogo di violenza e più un’analisi del terrore e dell’ansia, ponendo in discussione la natura di ciò che ci spaventa veramente.
La tensione che cresce in un ambiente spettrale
Mentre la trama di “Longlegs” si sviluppa, l’ambientazione assume un’importanza centrale nel costruire la tensione. La giovane agente dell’FBI Lee Harker, interpretata da Maika Monroe, diventa il fulcro della narrazione, mentre indaga su una serie di omicidi che la portano a confrontarsi direttamente con la figura di Longlegs. Nel cuore della storia, una casa disabitata diventa il teatro di un incontro spettrale, dove l’oscurità e il silenzio diventano i veri antagonisti.
La narrazione incanala diverse influenze del genere horror, attingendo a immagini che evocano il sovrannaturale. Le scene notturne, immerse in cupe atmosfere, mettono in risalto l’ineffabilità del male, mentre Harker esplora il legame ambiguo con il misterioso killer. Attraverso una lettera cifrata ricevuta dalla protagonista, la vicenda assume toni sempre più perturbanti, portando lo spettatore a interrogarsi sulla natura del male stesso. Questa strategia narrativa genera suspense, trasformando il “non visto” in un elemento fondamentale del film.
L’abilità di Perkins di mantenere l’ambiguità sugli eventi e di insistere sullo sfondo oscuro del presente e del passato crea una tensione inesorabile. Lo spettatore è costretto a muoversi tra realtà e incubo, intrappolato in un mondo dove il confine tra bene e male si fa labile. Questa frattura della razionalità contribuisce a rendere “Longlegs” un’opera avvincente e dal grande impatto emotivo.
L’intelligenza del non visto
“Longlegs” è sicuramente un’opera in grado di affascinare, merito di un equilibrio sapiente tra immagini suggestive e storytelling avvincente. La decisione di Perkins di mantenere l’orrore invisibile il più a lungo possibile riesce a incantare lo spettatore, permettendo a tematiche più profonde di emergere, come la natura del male e l’inevitabilità della violenza. Il film si distingue non solo per l’interpretazione convincente di Nicolas Cage, ma anche per la straordinaria capacità di creare suspense e mantenere viva la curiosità.
La costruzione di questo thriller perturbante, giocato sulla percezione e sull’immaginario collettivo, si fa strada tra ambiguità e rivelazioni parziali, creando un’esperienza cinematografica memorabile. Nonostante alcuni momenti di confusione nel finale, l’abilità di Perkins nel mescolare detective story e horror psicologico rende “Longlegs” un film che lascia un segno indelebile, invitando il pubblico a immergersi in un mondo dove il terrore si nasconde nell’ombra.