Un incontro che ha segnato la storia dell’arte e del cinema si è svolto nel 1965, quando il celebre regista americano John Huston si è recato a Bergamo per incontrare lo scultore Giacomo Manzù. In quell’occasione, Manzù ha creato tre sculture di argilla destinate al film «La Bibbia», un’opera che, seppur di breve durata, ha lasciato un’impronta indelebile nei ricordi di chi l’ha vissuta e di chi la conosce. Questo articolo si propone di esplorare i dettagli di quel legame artistico e culturale, sottolineando come l’arte possa sfidare il tempo, anche quando il materiale utilizzato non riesce ad affermarsi nella sua forma fisica.
L’incontro tra un regista e uno scultore
Nel 1987, John Huston ha condiviso il suo incontro con Giacomo Manzù nell’autobiografia «Un libro aperto», recentemente rieditata da La nave di Teseo. Huston, celebre per il suo lavoro dietro la cinepresa in film iconici come «Il mistero del falco» e «Moby Dick», ha raccontato come si sia imbattuto nel nome di Manzù mentre si trovava in viaggio verso Venezia. La curiosità lo ha spinto a inviare un biglietto al maestro scultore, il quale, con un rapido riscontro, lo ha invitato a visitarlo. L’incontro ha messo in luce la calda ospitalità di Manzù e la sua disponibilità a mostrare le sue opere al regista, avviando così un legame artistico che avrebbe portato alla creazione di sculture memorabili destinate al grande schermo.
Nel 1965, Huston ha richiesto a Manzù di creare tre sculture raffiguranti l’evoluzione di Adamo per il suo film «La Bibbia». Seppur inizialmente riluttante, Manzù ha accettato il progetto con entusiasmo, ponendo però delle condizioni: non avrebbe richiesto compensi per il suo lavoro e le sculture sarebbero state distrutte immediatamente dopo la conclusione delle riprese. Una scelta che riflette il suo attaccamento all’arte e il desiderio di creare qualcosa di unico e irripetibile.
Il processo creativo sul set di «La Bibbia»
Una volta giunto sul set, Manzù ha dovuto confrontarsi con le sfide legate alla realizzazione delle sculture in un contesto cinematografico completamente nuovo per lui. Il maestro scultore ha chiesto di lavorare direttamente nella terra del set, che si è rivelata essere di alta qualità: un’argilla perfetta per la sua arte. Questa intuizione ha dato avvio a un processo creativo che, durato appena tre giorni, ha visto la nascita di tre figure che rappresentavano le fasi della creazione di Adamo.
L’intensità del lavoro di Manzù è stata palpabile, tanto che il regista lo scrive con ammirazione. Ogni figura che prendeva forma veniva coperta con teli bagnati per mantenerla umida e impedirne la seccatura. Con ogni avanzamento nella creazione delle sculture, Huston si sentiva sempre più coinvolto in un processo che sembrava quasi magico, dove l’arte si fondeva con il cinema in un’esperienza unica. La scena finale, concepita dal regista, mirava a catturare la bellezza e la fragilità delle opere in un’esplosione di polvere dorata, simbolo del respiro di Dio.
Il drama del set e l’inevitabile fine delle sculture
Nonostante la bellezza delle sculture e il genio di Manzù, il set di «La Bibbia» è stato teatro di un imprevisto dramma. Durante le riprese, un guasto alla macchina da presa ha causato un ritardo, mentre le sculture, delicate e fragili, cominciavano a craccarsi. Huston ha descritto con angoscia il momento in cui ha realizzato che le opere di Manzù, create con tanto sudore e fatica, stavano per distruggersi. Nel bel mezzo di questo caos, il regista, disperato, ha sperato in un intervento divino per salvare il lavoro intellettuale di entrambi.
Miracolosamente, un pezzo di ricambio è arrivato giusto in tempo per completare le riprese delle sculture, che, sebbene già compromesse, hanno continuato a mantenere la loro forma nel film. Il giorno successivo, però, la fragilità del materiale si è rivelata inesorabile: le figure non erano più utilizzabili. Huston, tuttavia, ha trovato conforto nella reazione di Manzù, che, nonostante il disastro, ha mostrato la sua generosità: avrebbe ripetuto il lavoro se Huston glielo avesse chiesto. Questa risposta riflette non solo l’umiltà dell’artista, ma anche la straordinaria complicità che si era instaurata tra i due uomini, un legame cementato dall’amore per l’arte e dal potere del cinema.