Elizabeth Sankey, rinomata regista e sceneggiatrice, ha recentemente aperto un dialogo cruciale sulla salute mentale femminile. La sua esperienza personale con la depressione post partum, culminata in un ricovero in ospedale psichiatrico, è diventata il nucleo del documentario “Witches“, disponibile su MUBI dal 22 novembre. Questa pellicola non si limita a narrare le sue difficoltà personali, ma offre anche una riflessione storica su come le donne, spesso accusate ingiustamente di stregoneria nel passato, abbiano affrontato problemi di salute mentale in un contesto culturale inospitale. L’opera di Sankey rappresenta un potente appello all’attenzione collettiva riguardo all’importanza del supporto durante la maternità e le conseguenze dei traumi non riconosciuti.
La salute mentale in discussione: un cambiamento culturale
Negli ultimi anni, il tema della salute mentale è emerso dal silenzio e dalla vergogna, diventando un argomento sempre più centrale nel dibattito pubblico. Oggi, numerosi personaggi pubblici e celebrity condividono le loro esperienze, contribuendo a infrangere il tabù che circonda tali problematiche. Elizabeth Sankey sottolinea che, sebbene ci sia stata una progressione rispetto al passato — un cambiamento notevole rispetto alla generazione dei suoi genitori — le donne continuano a navigare in un mare di aspettative e pressioni sociali.
Molte donne si trovano a dover affrontare uno spettro di sfide legate alla loro identità e ruolo sociale, dalla percezione di essere buone madri a quella di dover mantenere un aspetto curato. Anche la gestione della salute mentale viene spesso vista attraverso una lente di giudizio. I dati sono preoccupanti: in Regno Unito, il suicidio rappresenta la prima causa di morte tra le donne nel periodo perinatale o post partum. Nonostante ciò, ci sono organizzazioni che si impegnano a supportare le donne in difficoltà, ma questo non basta a sradicare la cultura della vergogna che spesso accompagna la ricerca di aiuto.
La depressione post partum: una realtà complessa
Elizabeth Sankey descrive la depressione post partum come un nebuloso labirinto di emozioni e comportamenti che vanno ben oltre i confini della semplice tristezza. La sua esperienza, caratterizzata da ansia e pensieri intrusivi, contraddice il comune stereotipo della madre che non riesce ad alzarsi dal letto. Confessa che le sue manifestazioni di sofferenza erano così distinte che neppure coloro che le stavano accanto riuscivano a riconoscerle come segni di depressione. Questo è il fulcro della questione: la mancanza di comprensione e consapevolezza porta a silenziare le esperienze di molte donne.
Sankey pone l’accento sul fatto che, nonostante la diffusione di informazioni sui disturbi dell’umore, poche donne si sentono libere di parlare apertamente della propria esperienza con la depressione post partum. Questa paura di esprimere la propria vulnerabilità è un problema che affonda le radici nella cultura e nella rappresentazione di questi temi nei media. Spesso il focus è su esperienze più facili da identificare, mentre l’ansia e le psicosi rimangono nell’ombra.
Le aspettative sociali e la mancanza di preparazione
Che sia per la preparazione pratica o per il supporto emotivo, la transizione verso la maternità non è accompagnata dalla preparazione adeguata per affrontare le complessità psico-emotive dell’essere madre. Sankey evidenzia come le aspettative sociali pongano una pressione enorme sulle donne, spesso lasciandole sole di fronte a questioni come la capacità di allattare o il semplice dormire sufficientemente. Queste texture di ansia, ossessioni e punti di vista distorti non trovano spazio in una cultura che celebra la figura della madre felice.
L’approccio educativo tradizionale concentra l’attenzione sulle tecniche pratiche di cura del bambino, senza mai esplorare la dimensione della salute mentale della madre. “Madre felice, bambino felice” è un detto comune, ma poco viene detto riguardo a come le madri possano prendersi cura di se stesse durante una fase di vita così trasformativa. Questo disallineamento porta a un vuoto di comprensione e supporto, che è ora più cruciale che mai da affrontare.
Elizabeth Sankey, attraverso la sua opera documentaristica, invita a un confronto più aperto e onesto sulle esperienze vissute delle madri, per dare voce a chi sente di essere invisibile o incomprensibile. La storia di Sankey è una prova che il dialogo sulla salute mentale deve essere amplificato e che le donne meritano un supporto adeguato nel loro viaggio.