Dal buio delle fognature di Lvov, l’incredibile storia di Leopold Socha
Regia: Agnieszka Holland – Cast: Robert Wieckiewicz, Benno Fürmann, Agnieszka Grochowska, Maria Schrader, Herbert Knaup, Marcin Bosak, Krzysztof Skonieczny, Milla Bankowicz, Oliwer Stanczak – Genere: Drammatico, colore, 145 minuti – Produzione: Germania, Polonia, 2011 – Distribuzione: Good Films – Data di uscita: 24 gennaio 2013.
Lvov, Polonia, 1943, occupazione nazista.
Si viene subito calati nell’atrocità di uno dei periodi più efferati della Storia, a suon di mitra e urla.
Calati è la parola giusta perché è nelle fogne della città che Leopold Socha, un ladruncolo polacco, operaio delle fognature, nasconde un gruppo di ebrei sfuggiti al rastrellamento del ghetto.
Tratto da una storia vera, è proprio nel sottosuolo che si contrabbanda sopravvivenza per sopravvivenza.
In cambio di denaro un gruppo di uomini, donne e bambini baratta la morte certa con l’inferno vissuto tra infiniti labirinti, escrementi e ratti.
È un film fatto di rumori, di odori e tutto quello che mostra lo fa mettendolo sotto la lente di un microscopio.
Le riprese, quasi tutte dal basso, coinvolgono lo spettatore in modo sorprendentemente sensoriale, come a trascinarlo giù, sottoterra insieme ai protagonisti e, mano a mano che il film va avanti, tutta la storia viene seguita sempre di più dal punto di vista di questo truffatore, questo uomo qualunque, scaltro, ambiguo, senza troppi scrupoli, ma anche simpatico che è Socha, con cui si instaura una solidale complicità fino quasi alla totale gratitudine che suscita nel finale.
Non è la storia di un eroe, ma di un malfattore che per sbarcare il lunario compie azioni terribili, e che si ritrova quasi per caso, aiutato dalla moglie, una bussola morale costante, a compiere il gesto più nobile: salvare delle vite, mettendo a repentaglio la sua e quella della sua famiglia.
Non c’è niente di ovvio, di scontato nel percorso di crescita di Socha come essere umano, ed è questo a renderlo così onesto e vero.
Vediamo in lui una gamma di sentimenti che cambia piano piano, ma radicalmente, dall’inizio alla fine della film: comincia a nascondere quelle persone, per estorsione e col pensiero di denunciarle poco dopo, finisce col chiamarli “i miei ebrei”, e nel mezzo volente o nolente crea dei rapporti con ognuno di loro.
Calibrata e magistrale la recitazione di ogni singolo attore, da quello che ha una sola battuta ai veri protagonisti della storia che restituiscono garbo ed essenzialità, pochissimi sentimentalismi.
“In Darkness” è uno straziante, magnifico capolavoro che non racconta l’orrore dell’Olocausto, lo grida a squarcia gola, dal silenzio, dal buio.
Paola Rulli