Negli anni ’70, il panorama cinematografico americano era caratterizzato da una forte tensione tra le case di produzione e le star del cinema, in particolare quelle appartenenti alla generazione dei Baby Boomer. In questo contesto, le celebrità di Hollywood iniziarono a richiedere un maggiore controllo sui loro progetti, sia dal punto di vista creativo che finanziario. È in questo clima di cambiamenti e aspirazioni che nel 1969 nacque First Artists, una compagnia di produzione fondata da Freddie Fields, un noto agente, insieme a figure iconiche come Paul Newman, Barbra Streisand e Sidney Poitier. Successivamente, si unirono al progetto anche Steve McQueen e Dustin Hoffman, dando vita a una nuova era per il cinema.
La proposta di First Artists: libertà creativa in cambio di compensi ridotti
La proposta di First Artists si presentava come un’opportunità vantaggiosa per le star: accettare compensi inferiori in cambio di una maggiore libertà creativa e di una percentuale sui profitti dei film. Questo modello di business sembrava promettente, poiché permetteva agli attori di avere voce in capitolo sui progetti a cui partecipavano, un aspetto che fino ad allora era stato spesso trascurato dalle case di produzione. Tuttavia, questa visione di autonomia artistica si rivelò ben presto problematica, soprattutto per Dustin Hoffman.
Hoffman, uno degli attori più rispettati del suo tempo, si trovò coinvolto in una controversia legale che avrebbe segnato la sua carriera. La causa, del valore di 65 milioni di dollari, fu intentata contro First Artists, il suo agente Jarvis Astaire e la Warner Bros. La disputa si concentrava su due progetti specifici: “Vigilato speciale“, un adattamento del romanzo “No Beast So Fierce” di Edward Bunker, e “Agatha“, un film dedicato al misterioso periodo di scomparsa della scrittrice Agatha Christie.
Il conflitto su Vigilato speciale e Agatha
Il cuore della controversia riguardava il controllo creativo di “Vigilato speciale“. Hoffman, inizialmente intenzionato a dirigere il film, decise di cedere la regia a Ulu Grosbard per concentrarsi su “Agatha“, che stava girando a Londra. Durante la sua assenza, First Artists prese decisioni riguardanti il montaggio del film, privando Hoffman del final cut. Questo atto scatenò la reazione dell’attore, che si sentì tradito e derubato della sua libertà artistica.
In un’intervista rilasciata al New York Times nel 1979, Hoffman espresse il suo profondo dispiacere per la situazione, paragonando la sua esperienza a quella di un pittore privato del proprio pennello. La risposta di First Artists non tardò ad arrivare, con una controquerela che accusava Hoffman di aver danneggiato le prospettive commerciali di “Vigilato speciale” dichiarando pubblicamente che il film era compromesso.
L’eredità di Vigilato speciale
Nonostante le polemiche, “Vigilato speciale” è oggi considerato uno dei lavori più significativi di Hoffman. Il film offre un ritratto autentico della vita criminale, un aspetto che ha colpito anche gli ex-detenuti, i quali hanno apprezzato l’accuratezza della rappresentazione. Anni dopo, Hoffman stesso ha descritto il film come un “film vero“, sottolineando il valore artistico e la veridicità della narrazione.
La storia di First Artists e il conflitto tra Hoffman e la compagnia di produzione rappresentano un capitolo importante nella storia del cinema, evidenziando le sfide che gli artisti devono affrontare nel tentativo di mantenere il controllo sulle proprie opere. In un’epoca in cui le case di produzione dominavano il settore, la lotta per la libertà creativa si rivelò un tema centrale, influenzando le dinamiche del cinema per gli anni a venire.
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