Per la regia di Clint Eastwood, un film ambientato ai tempi in cui Nelson Mandela incoraggiò la Nazionale di rugby, gli Springboks a vincere il Campionato
(Invictus) Regia: Clint Eastwood – Cast: Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern – Genere: Drammatico, colore, 134 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: Warner Bros. Italia – Data di uscita: 26 febbraio 2010.
Il Sud Africa e il delirio d’onnipotenza ariano, un termine quale apartheid che storicamente ha sintetizzato incomprensione e diseguaglianza, lotte intestine per la supremazia, il potere della classe dirigente (bianca naturalmente), che sovrasta con ogni mezzo i “detentori” reali dei territori.
Clint Eastwood ci ha ormai abituati al classicismo del suo cinema, con uno stile d’inconfondibile purezza ed eleganza; ponendoci su un binario pericolante ogni qual volta abbiamo avallato l’inutile tentativo di collocarlo, o addirittura incasellarlo nell’una o l’altra categoria registica o ideologica. Ma ciò non ha ragione d’essere, se a raccontarci una storia della Storia è un regista dal tocco così tanto sensibile, quanto cosciente e consapevole. Se poi questo episodio ha come protagonista un’icona indiscutibile della lotta sociale ad ogni costo, il nostro inchino non può che essere reverenziale.
L’uomo in questione è Nelson Mandela (all’anagrafe Rolihlahla Dalibhunga, Premio Nobel per la Pace nel 1993), che dopo 27 anni di detenzione ai lavori forzati nel carcere di Robben Island, divenne il primo Presidente nero del Sudafrica. All’indomani della sua personale, e insieme collettiva, vittoria sulla segregazione razziale, in vigore nello Stato dal dopoguerra, Madiba (affettuoso appellativo dato a Mandela dai suoi collaboratori), spinse la Nazionale di rugby del proprio Paese, gli Springboks capitanati da un afrikaner di nome François Pienaar, a cercare la vittoria nel Campionato del mondo del 1995 che si sarebbe svolto, come monito, proprio in Sud Africa.
È forse nella filosofia sportiva, vessillo di unione e portavoce di un linguaggio universale, che una nazione, divisa ormai da troppo tempo, possa in qualche modo ri-trovarsi? Lacerazione politica e sociale, ferite profonde dopo anni di vessazioni e una zavorra pesantissima come quella dell’apartheid, possono essere spianate? Slogan come “One team, One country” e “The rainbow nation”, vennero coniati proprio nel tentativo di far riscoprire alla Nazione quel senso di fratellanza, che probabilmente non aveva ancora conosciuto.
Purtroppo la Storia ci ha concesso solo un breve periodo in cui tutto questo sembrava un sogno realizzabile; ora più che mai siamo intrappolati nella nostra stessa stoltezza, dalle quale neanche lo sport è più capace di tirarci fuori. Tratto dal libro di John Carlin “Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation” (Sperling & Kupfer, 2008), il film, il cui titolo provvisorio era significativamente “The Human Factor”, ha in se l’autorevolezza dei contenuti, ma manca di quel sarcasmo e cinismo che tanto amiamo del cinema di Eastwood. Forse non alle altezze di “Mystic River” (2003) o “Million Dollar Baby” (2004), ma Clint è pur sempre Clint…
Serena Guidoni