Commedia francese con un delizioso e imbranato Gérard Depardieu, nei panni di un operaio che ripercorre la sua carriera lavorativa
Regia: Gustave de Kervern, Benoît Delépine – Cast: Gérard Depardieu, Isabelle Adjani, Yolande Moreau, Benoît Poelvoorde, Philippe Nahon, Bouli Lanners, Serge Larivière, Dick Annegarn, Miss Ming, Bouli Lanners, Anna Mouglalis, Philippe Nahon, Albert Delpy, Gustave de Kervern, Catherine Hosmalin, Dick Annegarn, Siné, Bruno Lochet, Serge Larivière, Noël Godin, Remy Kolpa, Zoé Weber, Eric Monfourny, Serge Nuques – Genere: Commedia, colore, 90 minuti – Produzione: Francia, 2010 – Distribuzione: Fandango – Data di uscita: 29 ottobre 2010.
Mentre la Francia scende in piazza per protestare contro la riforma voluta dal presidente Sarkozy, che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile di due anni rispetto alla regola precedente, esce nelle sale europee l’ultimo nato in casa Delèpine – Kervern, gli stessi del più cupo “Louis Michael” dello scorso 2008, che narra proprio le vicende di un operaio sessantenne che al momento di andare in pensione, si imbatte nel muro implacabile della burocrazia.
Interpretato da un corpulento e biondissimo Gèrard Depardieu, Serge Pilardosse deve far visita a tutti i vecchi datori di lavoro che hanno ‘dimenticato’ di versargli i contributi, attraverso un lungo viaggio che ripercorre tutti i luoghi più significativi della propria esistenza. È durante l’omerica traversata, compiuta su una due ruote degli anni Settanta, che Mammuth scopre una società che non lo vuole, che lo considera un idiota. In un rapporto di diretta proporzionalità, più inadeguato e inabile il personaggio si manifesta e più lo spettatore finisce inevitabilmente per innamorarsi della natura pasticciona e burbera che lo contraddistingue.
Se da un lato il film disvela la difficile condizione umana e sociale del suo protagonista, denotando in questo un’apprezzabile tendenza realistica, dall’altro, tale processo, viene compiuto con un lirismo e un’ispirazione tali che, senza assistere alla proiezione della pellicola, in pochi crederebbero possibili. Se la sensazione di verismo è agevolata dall’uso della telecamera a spalla e dalle frequenti riprese di schiena della fulva testa del personaggio, che danno forte l’impressione allo spettatore di seguirlo silenziosamente da dietro, la sensazione poetica è invece generata da un uso della fotografia che è di fatto assolutamente originale.
Il verde limaccioso dello stagno in cui Mammuth si immerge, non è che un esempio delle innovazioni apportate con il Super 16 reversibile, i cui colori saturi si presentano molto vicini a quelli mai più usati del Super8 di una volta. Il risultato è un “bianco e nero a colori” che permette di vedere Depardieu sotto una diversa luce, con alcune sequenze spesso interrotte o poco visibili che i meno sprovveduti non potranno non trovare gradevoli.
Fondamentali, in ultimo, gli apporti recitativi delle tre presenze femminili del film, definite nella poesia finale ‘muse’; stiamo parlando della moglie Catherine, la Penelope del viaggio di Mammuth, interpretata dalla superlativa Yolande Moreau, la fidanzata morta che appare nei momenti più difficili e la nipote Solange, che con la sua bizzarria artistica farà tornare la felicità nella vita dello ‘zio patata’. Sarà solo grazie a queste tre figure salvifiche che Mammuth non crederà a coloro che per tutta la vita daranno lui dell’imbecille.
Saranno queste, che amandolo, proteggendolo e dandogli fiducia, faranno crescere il bambinone che è dentro di lui e che più di tutto lo aiuteranno a riscattarsi, come dimostrato nelle ultime commoventi scene del film. Un’ora e mezza, dunque, non solo di riflessioni, ma anche e soprattutto di risate che vi consigliamo caldamente di non perdervi, andando al cinema e contrastando la generale diffidenza tutta italiana verso la commedia d’oltralpe.
Cecilia Sabelli