Un dramma giudiziario che vede al banco degli imputati i rancori, lo scontro di valori e le contraddizioni dei legami familiari
Regia: David Dobkin – Cast: Robert Downey Jr., Robert Duvall, Leighton Meester, Vera Farmiga, Sarah Lancaster, Vincent D’Onofrio– Genere: Drammatico, colore, 141 minuti – Produzione: USA, 2014 – Distribuzione: Warner Bros – Data di uscita: 23 ottobre 2014.
Robert Downey Jr. è Hank Palmer, avvocato di successo immune al dilemma etico e morale che la sua professione spesso impone: difende senza battere ciglio tutti i criminali e incassa una vittoria dopo l’altra, perché “per gli innocenti lui costa troppo”.
La notizia dell’improvvisa morte della madre arriva come un fulmine a ciel sereno e Palmer, suo malgrado, si vede costretto a tornare nella sua cittadina d’origine.
Complici gli anni di “latitanza” l’accoglienza in famiglia si rivela tutt’ altro che facile: i fratelli sono distanti ed il padre, severo e rigoroso giudice della città, lo tratta con sufficienza e distacco. E’ già pronto a ripartire quando – all’indomani del funerale della madre – il padre viene accusato di omicidio: Hank non può far altro che restare e difendere il padre nel processo.
Il giudice Palmer, magistralmente interpretato da Duvall, funziona da calzante contraltare morale per il figlio: laddove Hank sembra un uomo senza scrupoli o valori, il padre invece si presenta come un irriducibile idealista, pronto a battersi per la giustizia e a sacrificare tutto in nome del bene.
Il risanamento del travagliato rapporto padre-figlio diventa così il cuore centrale della storia, che avanza di pari passo con la vicenda giudiziaria a un buon ritmo.
Notevolissima la performance di Robert Downey Jr che, abbandonati i superpoteri, sembra essere tornato a quei ruoli complessi e contraddittori che più gli si addicono (e che più sembrano tirare fuori il meglio di lui). Duvall è eccezionale e i due attori, da soli, nei momenti di scontro e dialogo serrato, innalzano il film ad un livello molto alto.
“The Judge” è nel complesso un buon lavoro – nonostante i suoi 140 minuti il coinvolgimento non scema quasi mai – che però commette il più facile degli errori: vuole far troppo.
L’intuizione di condire il dramma famigliare con la vicenda giudiziaria conferisce senz’altro una verve in più alla storia e aiuta a tenere il ritmo. Sfortunatamente, però, in più di occasione la pellicola scivola irrimediabilmente verso il melodrammatico, lasciandosi andare ad eccessi lacrimosi un po’ facili, che rischiano di minare le buone intenzioni dell’opera.
In generale, si ha l’impressione che la storia proceda per accumulo quando invece sarebbe stato necessario piuttosto un lavoro di sottrazione.
Troppa carne al fuoco confonde le idee e distoglie l’attenzione dalle interessanti questioni morali, etiche ed umane sollevate. Le troppe trame secondarie disorientano lo spettatore e lo trascinano ora da una parte ora dall’altra, con il rischio di produrre un miscuglio disordinato di sensazioni tutte vagamente sbiadite.
“The Judge” non è senz’altro un’opera che brilla per originalità o freschezza ma nel complesso si rivela ben realizzata e meticolosamente costruita: dalla regia, alle musiche e alla fotografia ogni dettaglio è curato e mai lasciato al caso e, considerata la mole di informazioni, tematiche e situazioni che ha l’ambizione di voler trattare, è apprezzabile e lodevole il modo in cui riesce a tenere insieme tutti i fili senza mai perdersi.
Menzione speciale va senz’altro a quel tocco di humor che snellisce e sdrammatizza nei momenti giusti una sceneggiatura che, seppur buona, troppo spesso sembra cedere a lungaggini e deragliamenti.
Qualche dettaglio melò in meno, un minutaggio più asciutto e meno sbavature dispersive avrebbero senz’altro valso alla pellicola l’appellativo di ottimo film.
Eleonora Bordi