Il nuovo lavoro di Luca Miniero presenta uno schema ripetitivo e ormai saturo, non riuscendo a svincolarsi da stereotipi abusati e istrionismo da due soldi
Regia: Luca Miniero – Cast: Christian De Sica, Rocco Papaleo, Lello Arena, Miriam Leone, Angela Finocchiaro – Genere: Commedia, colore, 98 minuti – Produzione: Italia, 2014 – Distribuzione: Universal Pictures – Data di uscita: 13 novembre 2014.
“La scuola più bella del mondo”, nuova commedia di Luca Miniero, non porta innovazioni davvero significative nello schema di genere ormai canonizzato.
La struttura è molto simile a quella di due precedenti lavori dello stesso regista, “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord”: ancora una volta una convivenza forzata tra Sud Italia e resto del mondo, e se anche nella fattispecie il termine di confronto è la Toscana e non Milano, ciò non implica uno scarto di alcun tipo nella dinamica narrativa.
La differenza – non poi così rilevante in termini sostanziali – è data dal fatto che stavolta la vicenda è animata dai bambini di due scolaresche, accompagnati dai rispettivi professori. I due campioni di umanità posti a confronto esibiscono due concezioni diametralmente opposte, senza alcun accenno di modulazione o sfumatura: da una parte gli alunni toscani, estremamente disciplinati e irreggimentati in una struttura istituzionale di carattere gerarchico; dall’altra i napoletani, banda di scalmanati e caotici disintegratori dell’ordine.
Il cuore della vicenda è uno scambio culturale scaturito da un clamoroso equivoco: il preside di una scuola media toscana vuole assolutamente portare a casa un premio regionale, e per raggiungere l’obiettivo cerca un gemellaggio con una comunità di bambini provenienti da Accra, capitale del Ghana; un banale errore di battitura dirotta la richiesta ad Acerra, comune partenopeo. Si innesta qui una classica girandola di fraintendimenti – il gioco degli equivoci è da tempo immemore una delle strutture portanti del genere commedia – che sfocia in una improbabile e forzata convivenza.
Da subito la situazione deflagra, dando forma a una contrapposizione rigidamente schematica e allo stesso tempo estremizzata fino al grottesco, per poi essere canalizzata nei binari del sentimentalismo: i quattro rappresentanti istituzionali – tre professori e un preside, rigorosamente due uomini e due donne – si dispongono ordinatamente in due coppie; tra i bambini sorgono rapporti di amicizia. Tutto ciò è propedeutico al finale allegro e consolatorio: bando alle differenze, siamo tutti fratelli.
In sottofondo musicale ci sono i 99 Posse con la loro canzone di protesta sociale “Curre curre guagliò”, ripetuta con alcune variazioni lungo tutta la durata del film. La carica di denuncia contenuta nel testo della canzone, sposata al ritmo coinvolgente, dovrebbe non solo accompagnare, ma anche riflettere il contenuto narrativo, che mediante il registro comico si propone di toccare questioni di rilevanza sociale, come lo stato di abbandono e incuria in cui versano molti edifici scolastici; ma l’andamento della narrazione non riesce in questo suo intento, riuscendo tutt’al più ad offrire un assortimento di stereotipi nella caratterizzazione dei personaggi e nell’evolversi delle vicende: il risultato è quindi quello di un appiattimento sulla nauseante ripetizione musicale che rimane a fare da sfondo.
Le interpretazioni attoriali non trovano una via di fuga dalla nebulosa della mediocrità: Christian De Sica stavolta non ci delizia con il turpiloquio che ne ha fatto l’icona dei cinepanettoni, ma non riesce comunque a svincolarsi da un modello di recitazione ridondante e tendenzialmente istrionico; Rocco Papaleo ha trovato la sua dimensione tra lo svagato e il romantico, e da questa dimensione non si sposta. Sarebbe forse il caso di dare finalmente spazio e fiducia a volti nuovi, al di fuori delle solite facce note.
Poco è da salvare, ma non tutto è da gettare: interessante l’inserimento di parti animate a seguire i pensieri del distratto professore interpretato da Rocco Papaleo.
Sembra ancora lunga la strada che la commedia italiana deve seguire per riuscire finalmente ad emanciparsi dai vincoli di modelli ormai abituali e consumati. “La scuola più bella del mondo” non porta mattoni utili per la costruzione di questo nuovo edificio.
Marco Donati