Recensione
Lo chiamavano Jeeg Robot: favola urbana di misantropi, pazzi e criminali
Nella mescolanza dei toni e dei generi, Gabriele Mainetti mostra nel suo primo lungometraggio cinematografico una padronanza eccezionale della struttura drammaturgica: il registro narrativo riesce a far dondolare un’altalena emotiva tra commedia brillante e dramma urbano, dall’inizio alla fine, senza che mai venga intaccato l’equilibrio di base che delinea l’evoluzione grottesca e favolistica della vicenda.
Sullo sfondo romano che continuamente varia tra la periferia suburbana e il centro, tra Tor Bella Monaca e lo stadio Olimpico, si muove un Claudio Santamaria burbero e misantropo, ignavo e disilluso, che in seguito a una caduta fortuita nel Tevere (mentre fugge dalla polizia) si trova investito da una forza soprannaturale, della quale finisce presto per assumere piena consapevolezza. La sua ritrosia viene progressivamente vinta dal contatto forzato e prolungato con una ragazza psicologicamente disturbata, figlia di un suo improvvisato partner criminale che però viene presto eliminato: la giovane, operando un inconscio spostamento delle sue turbe mentali, è continuamente immersa nel mondo del cartone animato giapponese “Jeeg Robot”; di qui l’identificazione del protettore dalla forza sovrumana con l’eroe eponimo del suo cartone animato, ovvero del suo mondo proiettato.
Lo chiamavano Jeeg Robot: rielaborazione creativa della struttura di genere
Il contatto sempre più intimo porta il protagonista a sviluppare una forma di umanità che da uno stato embrionale si evolve lentamente ma progressivamente verso una nuova apertura al mondo, una possibilità di apportare salvezza in primo luogo a se stesso. Il distacco dall’ambiente criminale è del resto molto ritardato, ma non per una problematica individuale né per uno scarto riflessivo: se la prima azione da “super” è la difesa dell’inerme ragazza da un’aggressione, la seconda è lo sradicamento di un bancomat, senza che fra l’una e l’altra situazione si formi un qualche tipo di dialettica razionale; semplicemente, così è.
Ma ad un potenziale supereroe non si può non contrapporre un potenziale supercriminale, il villain di turno, e su questo Mainetti lavora bene, mostrando una profonda conoscenza del genere – non decostruito né demistificato, ma piuttosto rielaborato – e un’abile padronanza del mezzo espressivo: a fare le veci dell’antagonista è un Luca Marinelli giustamente debordante, in un’interpretazione che pare a tratti un esplicito e riuscito omaggio al Joker di Heath Ledger, con il quale la somiglianza è anche (vagamente) fisica.
La scrittura del film è di elevata intelligenza, riuscendo a combinare una varietà apparentemente inconciliabile di registri narrativi diversi, dalla comicità corrosiva alla drammaticità solidificata, dalle battute da gangster movie all’esplorazione dell’intimità forzata di caratteri problematici e stridenti.
Ma il punto forte – implementato dalle prestazioni attoriali superbe di Santamaria e Marinelli – è la regia sempre creativa e sperimentale, che non arretra di fronte a nulla e alterna virtuosismi estetici, effetti speciali e focalizzazioni estreme sui corpi degli attori, dei quali è messa in risalto in forma esibita e materica la fisicità, con il suo carico di movimenti irregolari e deformazioni facciali: anche le scene di combattimento, fino al classico e protratto duello finale intorno allo stadio di calcio, sono godibili e appassionanti nella loro grottesca inverosimiglianza.
Marco Donati
Trama
- Regia: Gabriele Mainetti
- Cast: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei, Francesco Formichetti, Daniele Trombetti, Antonia Truppo, Gianluca Di Gennaro, Salvo Esposito
- Genere: Fantascienza, colore
- Durata: 112 minuti
- Produzione: Italia, 2015
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: 25 Febbraio 2016
In “Lo chiamavano Jeeg Robot” Enzo Ceccotti è un ladruncolo di periferia, vive a Tor Bella Monaca ed è praticamente un signor nessuno; tutto questo fino a quando, durante un inseguimento della polizia, si immerge nel Tevere per evitare l’arresto e viene a contatto con del materiale radioattivo.
Sopravvissuto per miracolo, il giorno dopo il protagonista di “Lo chiamavano Jeeg Robot” si risveglia con capacità straordinarie, con una forza sovraumana e con una resistenza strabiliante: quale migliore occasione che acquisire superpoteri può essere un modo per fare soldi facili?
Parallelamente Enzo, questo personaggio che ricorda molto un eroe classico dei fumetti, si trova a dover fronteggiare una lotta tra bande che sta infuriando nella Capitale. Inoltre il nostro supereroe si avvicina a una sua vicina di casa, la figlia di un amico deceduto da poco: si tratta di una ragazza che vive in un mondo tutto suo, che filtra la vita attraverso il mondo della serie animata di Jeeg Robot. Ossessionata dall’eroe dell’anime, la ragazza crede che esso esista veramente e proietta in Enzo tutte le qualità del suo idolo.
Starà a Enzo prendere in mano la situazione, affrontare i criminali ed essere all’altezza dell’opinione che la giovane ha di lui.
Mostrando il percorso di ascesa di un eroe che si muove in quella che è una storia di stampo classico di riscatto morale e sociale, il protagonista di “Lo chiamavano Jeeg Robot” affronta una quotidianità assolutamente passiva e ordinaria con una nuova prospettiva, non solo quella acquisita grazie alle nuove abilità ma soprattutto quella che gli viene data dallo sguardo sognatore e speranzoso di una giovane ragazza che, non distinguendo finzione dalla realtà, rende il banale Enzo un ‘personaggio’ caratteristico e, soprattutto, un eroe degno di questo nome.
Trailer
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