La fotografia perfetta e l’ottima performance di George Clooney non bastano a salvare un film che non decolla mai, noioso all’inverosimile
Regia: Anton Corbijn – Cast: George Clooney, Bruce Altman, Thekla Reuten, Paolo Bonacelli, Violante Placido, Filippo Timi, Irina Björklund, Samuli Vauramo, Björn Granath, Patrizio Pelizzi – Genere: Drammatico, colore, 105 minuti – Produzione: USA, 2010 – Distribuzione: Universal Pictures – Data di uscita: 10 settembre 2010.
L’interpretazione di George Clooney in “The American” ci fa ricordare che oltre ad essere un uomo impegnato socialmente per la tutela dei più sfortunati, e a riempire le pagine dei rotocalchi per la sua relazione con la Canalis nazionale, è soprattutto un bravo attore, che dà il meglio di sé nei ruoli drammatici, come questo, dove veste i panni di un killer solitario.
Il film è girato nei pressi de L’Aquila, in una terra d’Abruzzo appena dilaniata dal terremoto, e le immagini girate sono talmente belle da far apparire i piccoli borghi e i boschi, con la fitta vegetazione, un paesaggio da film fantasy, da mondo degli elfi; sembra quasi impossibile che tutt’attorno si viva un’immane tragedia umana e ambientale. La fotografia vivida, limpida, quasi da film in bianco e nero, rende le immagini eloquenti, un vero spot promozionale di quei luoghi.
Detto ciò, è difficile trovare un film, che viene proposto come un thriller drammatico, più noioso di questo: se esistesse potrebbe vincere l’Oscar dello sbadiglio. Il film non solo non decolla mai, ma non accende proprio i motori, a dimostrazione che regista e attori non possono fare miracoli se manca la storia da narrare.
Il plot narrativo è costruito attorno alla figura di un killer solitario, che costruisce armi per sé e per altri; braccato, si rifugia in un piccolo centro abruzzese. Qui incontra una prostituta, interpretata da Violante Placido, brava per carità, ma il cui ruolo limita la sua performance. Per parafrasare una battuta con la quale Sergio Leone definì Clint Eastwood, ha due espressioni: con le mutandine e senza mutandine. Non ce ne voglia la Placido, se ha sorriso il grande Clint, siamo sicuri che lei non vorrà essere da meno. L’incontro non è fatale, ma la dolcezza della ragazza fa desiderare all’uomo un futuro diverso.
L’evolversi delle vicende è più che scontato, dopo qualche metro di pellicola già si ha chiaro tutto il racconto, per cui la visione è ridotta all’esasperante attesa del ‘The End’. La cinematografia internazionale è ricca di killer spietati, convinti di ciò che fanno, fino a quando un incontro casuale non prospetta loro una vita diversa, o qualcosa per cui valga la pena sacrificarla. In questo film il problema non è solo la scarsa originalità del soggetto, ma anche la mancanza di tensione, tutto procede in maniera monotona, mancano i picchi.
Mentre il film scorre, viene alla mente Besson e il suo “Leon”, quello si che è un racconto intenso, emozionante, la figura del killer è mostrata con un’introspezione psicologica ed emotiva sorprendente per un film del genere. In “The American” i personaggi non sono neppure delineati nella loro interiorità, il narrato rimane in superficie. Peccato, tanto rumore per nulla!
Maria Grazia Bosu