“Zeta” vuole essere un film generazionale, in grado di raccontare senza fronzoli i giovani di oggi e il mondo del rap in Italia: parola di regista
Per il noto regista romano Cosimo Alemà, “Zeta” vuole essere “un racconto reale e metaforico al tempo stesso, in grado di parlare del rapporto tra individuo e identità culturale, in un mondo che sempre più tende a creare, nel bene e nel male, occasioni di contaminazione, di confusione e crisi d’identità, soprattutto quando si parla di giovani”. Per questo ritiene basilare che il racconto sia “non solo del reale, ma calato indissolubilmente nel reale, perché solo così è possibile scoprire la dimensione intima e profondamente umana della realtà stessa e anche quella di tematiche urgenti e attuali della società odierna”.
Alemà confessa di tenere sempre a mente “L’Odio” di M.Kassovitz, “punto di incontro tra genere, dramma e divertimento, il tutto calato in una dimensione di realismo e di credibilità fuori dal comune, condivisibile in ogni angolo del mondo”. La credibilità è importante anche per il suo racconto: “Troppo spesso, in Italia, il mondo giovanile è stravolto, distorto, banalizzato e indirizzato verso cliché tipici televisivi sintomatici di una visione estranea e insensibile alla realtà”.
Zeta: un film che omaggia la musica senza essere un musical
Il regista, che ritiene d’aver realizzato un vero e proprio film musicale, crede che il rap sia un aspetto cruciale della cultura moderna internazionale: “I rappers sono i nuovi cantautori, le canzoni parlano di vita vissuta, di strada, di problemi, di rabbia e amore”.
Il regista si rispecchia nel protagonista, Alex, un ragazzo che desidera a tutti i costi campare di questa sua passione per il rap: “mi ricorda profondamente quando a scuola mi sentivo un incompreso ragazzo punk della periferia romana e mi interessava indagare proprio su quel senso di inadeguatezza latente che da giovane provavo di fronte al futuro, al mondo del lavoro, alle realtà diverse dalla mia, di fronte all’ineluttabilità della vita stessa essendo io profondamente ateo, ora come allora”.
Il film parla di come la passione per la musica possa rappresentare l’unica via di fuga da un destino scritto da altri e il regista crede di essere riuscito a “parlare di valori senza retorica e temi di scottante attualità come quello dei difficili rapporti interpersonali, molto diffusi tra le nuove generazioni stravolte dall’impatto della tecnologia e dei social network sulla regolamentazione delle abitudini, della socialità e del confronto tra i sessi”.
Riguardo l’ambientazione romana ritiene che “rappresenti lo spazio ideale per raccontare con efficacia ed evidenza il difficile processo di integrazione tra i diversi strati sociali. Roma è una città difficile, cruda per chi viene da fuori e si ritrova ghettizzato nelle periferie, escluso dai lustri dalla mondanità”.
Zeta: Alemà desidera che il suo film diventi il riferimento di tutta una generazione
Per tutti gli appassionati di musica il regista si augura che la visione del film in sala possa avere lo stesso impatto che ebbero su di lui film come “Miriam si sveglia a mezzanotte”, “Easy Rider” o “The Doors”: “Ancora ricordo che rimasi sbalordito dalla proiezione, dall’inedita fruizione della musica abbinata alle immagini, sparata a tutto volume nel buio della sala cinematografica. Un’esperienza che può risultare indimenticabile, soprattutto se la musica è quella che ami”.
“Zeta” si pone un obiettivo ambizioso: “Diventare il film di riferimento di un’intera generazione, allo stesso modo in cui lo furono per me film come “Il Tempo delle Mele”, che fotografava con incredibile aderenza gli adolescenti dei primissimi anni ’80”.
Maria Grazia Bosu