Recensione
Robinù – Recensione: l’inchiesta sulla ‘paranza dei bambini’
Panoramica del centro storico di Napoli, una didascalia informa “Robinù”, stacco sul volto di un ragazzo. Senza nessun fronzolo e orpello il film di Michele Santoro ci immerge, velocemente, in una realtà violenta, una desolante quotidianità propria di alcune persone, che vivono, non in chi sa quale lontana città del mondo ma nel nostro Paese, a pochi passi dalle nostre ‘normali’ vite.
Robinù: La paranza dei bambini
Chi è Robinù? Sono tutti quei ragazzi, molti dei quali neanche maggiorenni, che sono riusciti a imporre una nuova legge di camorra per il controllo del mercato della droga. E’ stata definita ‘paranza dei bambini’, giovani che hanno evaso qualsiasi obbligo scolastico, non si esprimono in italiano, hanno i volti consumati dalle droghe e parlano di armi e uccisioni in maniera totalmente disinvolta, quando “se vai in galera per vent’anni, esci e hai tutta la vita davanti”. Un problema che solo ultimamente è emerso con tutta la sua violenza, che, comunque, già ha attirato l’attenzione mediatica come testimonia anche l’ultimo libro di Roberto Saviano “La paranza dei bambini”.
Robinù: Le storie di Michelino e Mariano
Santoro ci mostra questo drammatico spaccato di vita moderna, servendosi del volto di questi ragazzi e delle loro famiglie, restituendoci un’inchiesta che non si serve di nessuna forma di mediazione o sguardo moralista e giudicante.
Tra le tante storie emerge quella del poco più che diciottenne Michelino, attualmente in carcere per tentato omicidio, lesioni, rapina, detenzione illegale di armi. Il giovanissimo avrebbe seguito la ‘carriera’ del babyboss in tutti i suoi passaggi, pronto a sparare, anche contro la polizia, facendosi notare dal Sistema per «le palle e la mano ferma».
Ma anche la storia di Mariano A., che secondo i magistrati, avrebbe fatto parte della paranza di fuoco dei D’Amico, il clan che controlla la periferia orientale di Napoli, è evidenziata da Santoro. L’accusa è quella di aver ucciso insieme a un altro ragazzo Raffaele Canfora, 25 anni, esponente del clan di Vanella Grassi di Secondigliano.
Anche lui attualmente sta scontando una condanna a 16 anni, nell’Istituto Penale Minorile di Airola, per omicidio aggravato dalle finalità camorristiche, distruzione e soppressione di cadavere, porto abusivo d’armi.
Robinù: sul volto degli intervistati
Dal punto di vista contenutistico la pellicola è estremamente interessante, interesse che risiede anche sotto il profilo formale. Il film è tutto basato su piani strettissimi del volto delle persone contrappuntate da panoramiche dei luoghi, per lo più i vicoli del centro storico, in cui si consumano questi tragici eventi.
Per eliminare qualsiasi presenza di “estranei”, la voce degli intervistatori è stata omessa. Ma anche se non si vede e non si sente, la presenza di Santoro è molto forte. Gli intervistati sono spinti in maniera energetica verso quello che maggiormente interessa agli autori. Si commuovono, si sfogano, si confidano in una sorta di flusso di coscienza abilmente direzionato da Santoro.
Oreste Sacco
Trama
- Regia: Michele Santoro
- Genere: Documentario
- Durata: 91 minuti
- Produzione: Italia 2016
- Distribuzione: Videa-CDE
- Data di uscita: 6 Dicembre 2016
Il film documentario si basa su un’inchiesta di Michele Santoro sulle vittime del sistema mafioso.
I testimoni parlano di un mondo fatto di soldati bambini che già a 15 anni imparano a sparare e a 20 anni si trasformano in killer professionisti che rischiano di non arrivare nemmeno ai 30 anni.
Senza rendercene conto, questi avvenimenti hanno luogo proprio a Napoli dove delle vere e proprie battaglie arrivano a stroncare centinaia di vite umane, di giovani che potrebbero avere un futuro ben diverso da quello che invece sono costretti a vivere.
Ciò che crea stupore è che nessuno tra gli intervistati si nasconde allo sguardo delle telecamere: tutto viene rivelato con estrema naturalezza, quasi come se si stesse raccontando una tipica giornata di scuola o se si stesse parlando di un nuovo videogame con un coetaneo.
Il problema è che qui, di gioco c’è ben poco (si tende addirittura ad elogiare le figure del crimine prendendole ad esempio).
Ogni testimonianza rilasciata dai baby-killer è resa più agghiacciante anche dalla freddezza con il quale si parla di questo terrore.
Lo scopo principale di Michele Santoro attraverso questo documentario, è quello di mostrare un volto della società che spesso e volentieri viene ignorato e celato dietro ad un banale “non esiste” in modo da sollecitare lo Stato ad agire e prendere parte attivamente al rilancio di una città che sembra essere stata letteralmente abbandonata a se stessa.
“Robinù”- il titolo del film- prede spunto dall’appellativo che un padre dà al figlio per sottolinearne la generosità verso i più deboli.
Trailer