La vita disumana degli Indios Guarani Kaiowà e il loro tentativo di ribellione alle logiche capitalistiche che stanno distruggendo la foresta del Mato Grosso
Regia: Marco Bechis – Cast: Abrisio da Silva Pedro, Alicelia Batista Cabreira, Claudio Santamaria, Matheus Nachtergaele, Ademilson Concianza Verga, Ambrosio Vilhava, Chiara Caselli, Fabiane Pereira da Silva – Genere: Drammatico, colore, 108 minuti – Produzione: Italia, Brasile, 2008 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 2 settembre 2008.
La foresta è vita per gli Indios. La terra è vita per gli Indios. Questo il messaggio di “La terra degli uomini rossi – Birdwatchers”, lavoro intenso e toccante di Marco Bechis, in concorso alla 65sima Mostra del Cinema di Venezia, che ben illustra le disumane condizioni di vita degli Indios Guarani Kaiowà, discendenti delle tribù che alla fine del ‘600 videro sbarcare in Sudamerica i primi missionari gesuiti.
Il film si apre con gli Indios dai corpi seminudi, i volti dipinti di rosso, gli archi primitivi tesi, fermi sulla riva del fiume, eccoli, così come i turisti, i birdwatchers, si aspettano di trovarli. Ma è solo finzione: ben presto scopriremo che la vera vita degli Indiani è un’altra, molto meno affascinante. È lavoro in semischiavitù nelle piantagioni o al servizio dei ricchi eredi dei Conquistadores. È mancanza di speranze e prospettive per il futuro, una disperazione che spinge molti di loro al suicidio come unica via di fuga. Sono i suoni della foresta, il soffio del vento fra gli alberi, i rumori della notte a fare da sottofondo al racconto di una ribellione nata dopo l’ennesima tragedia.
Un gruppo di Guarani Kaiowà, guidati dal loro leader, Nadio e dallo sciamano, figura di grande importanza per un popolo fortemente religioso e spirituale, lascia la “riserva”, poco più di una bidonville, dove dovrebbe vivere, per accamparsi sulla terra degli antenati ora in mano ai produttori di canna da zucchero, che alimenta la produzione di biocombustibile di cui il Brasile è uno dei maggiori esportatori al mondo. A questi coraggiosi altri se ne aggiungeranno e lo scontro con i fazendeiro sarà inevitabile. E mentre una delle figlie del fazendero stringe un legame con il giovane Indios, forse per noia, forse per curiosità, la comunità indigena deve fare i conti con l’impossibilità di sopravvivere cacciando o pescando e cede allo sfruttamento nelle piantagioni, dove ore e ore di duro lavoro valgono solo pochi dollari. Ma né le minacce dello spaventa-indios, Claudio Santamaria, né l’arrivo della polizia o alla fine un tradimento e un omicidio fermeranno la volontà di questo piccola comunità di riconquistare la propria terra.
Il cast di attori non professionisti, tutti rigorosamente di etnia Guarani Kaiowà, è protagonista assoluto della scena e gli attori professionisti (oltre a Claudio Santamaria troviamo Chiara Caselli che interpreta la moglie del ricco proprietario terriero) rimangono in secondo piano, per volere del regista che ci mostra il dramma attraverso gli occhi dei più deboli. In un film di quasi due ore, i Guarani Kaiowà ci raccontano la sistematica distruzione della foresta, delle loro abitudini di vita e della loro cultura, l’uccisione dei più temerari che sfidano violenze e minacce, l’uso di qualunque mezzo per obbligarli a lasciare le loro terre (terribile la pioggia velenosa che un piccolo aereo fa cadere sulle capanne degli Indiani, indistintamente su vecchi, donne e bambini). Tutto sotto gli occhi del governo brasiliano che non riconosce il diritto degli Indios alla proprietà della terra e lascia impuniti omicidi e soprusi.
Il lavoro di Bechis, che commuove e fa riflettere sul significato di persecuzione, razzismo e genocidio, si chiude con una significativa panoramica sui campi coltivati che minacciosamente lambiscono il Mato Grosso, la Grande Foresta, ogni anno sempre più esigua. “La terra degli uomini rossi – Birdwatchers”, dedicato ai Guarani Kaiowà, sostiene il Fondo Survival che li aiuta a difendere i loro diritti. Gli Indios non chiedono denaro, ricchezze o aiuti alimentari, ma solo la possibilità di vivere sulla loro terra, fonte primaria della loro vita, unica speranza che hanno per il futuro, a cui sentono di appartenere e di cui si nutrono.
Barbara Mattiuzzo