Trama
- Regia: Claudio Casazza
- Cast: Paolo Giulini, Francesca Garbarino, Andrea Scotti, Maritsa Cantaluppi, Luca Bollati
- Genere: Documentario, Colore
- Durata: 83 minuti
- Produzione: Italia, 2016
- Distribuzione: Lab 80 Film
- Data di uscita: 13 Aprile 2017
“Un altro me” è un documentario che affronta il tema della violenza sulla donne e sui minori in chiave intimista e particolare. Nel carcere milanese di Bollate è presente un reparto per i cosiddetti ‘sex offenders’, cioè colpevoli di reati sessuali. Per anno si segue a stretto contatto il percorso terapeutico di Sergio, Gianni, Giuseppe, Valentino ed Enrique: gli psicologi dell’Unità di Trattamento intensificato del CIPM tentano di fornire ai loro pazienti una nuova consapevolezza e una presa d’atto dell’orrore e del dolore che hanno causato con le loro azioni.
Si tratta di un esperimento del tutto inedito per l’Italia: grazie a un lavoro di gruppo fra i detenuti, fatto di confronti, attività, discussioni e piccole prese di coscienza, i terapeuti vogliono attuare un programma di prevenzione della recidiva per reati sessuali. Il loro obiettivo è evitare che, una volta scontata la propria pena, i rei ricadano nell’inferno delle loro pulsioni incontrollate; lo sguardo di “Un altro me” si focalizza sui colloqui di gruppo, i laboratori creativi e le testimonianze singole, fino alle riunioni a porte chiuse degli psicologi per indagare da vicino i motivi profondi, sia personali sia culturali, che hanno spinto i protagonisti ad agire con tanta violenza.
Un altro me: un documentario dal punto di vista dei carnefici
I contemporanei e drammatici fatti di cronaca hanno fatto sì che la violenza femminile e quella sui minori fosse oggetto di numerosi dibattiti. Sicuramente, ciò che è insolito è raccontare la storia dal punto di vista dei carnefici e narrare i loro pensieri: questo è ciò che è riuscito a mettere in pratica “Un altro me”, il documentario di Claudio Casazza. Il regista non vuole esprimere una morale, non desidera focalizzare l’attenzione sul bene o sul male, ma semplicemente mostrare la realtà, nuda e cruda, la quotidianità così come si presenta; viene eliminato qualsiasi ornamento, dalla colonna sonora alle voci fuori campo, per condurre direttamente lo spettatore fra i banchi delle sedute di gruppo e mostrare la difficoltà degli psicologi di instaurare un dialogo con i detenuti.
Tutto è ridotto all’osso. “Un altro me” è asciutto, immediato, trasporta chi guarda nella parte più intima della mente dei pazienti. L’identità di queste persone, ovviamente, è protetta e mai rivelata grazie all’uso del fuori fuoco, che non permette di vedere in maniera nitida i loro volti. Ovviamente questa è una questione di privacy ma, allo stesso tempo, permette sia ai detenuti che al pubblico di creare una sorta di barriera protettiva: chi guarda il documentario, non potendo associare a un volto l’atrocità commessa, riesce meglio a capire e ad accettare le diverse sfaccettature delle personalità, che si raccontano e ad instaurare con loro un legame più sincero. Nasce, così, non solo un dialogo fra regista e detenuti, ma soprattutto fra questi ultimi e gli spettatori, grazie ad un velo protettivo che serve ad accorciare le distanze.
Un altro da me: l’umanità dietro ai mostri
Casazza ha realizzato un documentario davvero raro e anticonformista: ha scelto di raccontare un viaggio nel mondo dei carnefici, un percorso all’interno del carcere che cerca di scrollarsi di dosso i classici pregiudizi, tanto che il regista decide di non rivelare mai i reati commessi dai singoli personaggi. “Un altro me” vuole portare alla luce l’umanità celata dietro la disumanizzazione di questi ‘mostri’, reietti sia in prigione che nella società, per cercare di comprendere la complessa realtà che si nasconde dietro ai gesti più crudeli.
Il regista, in questo caso, abbandona il suo ruolo di mediatore per esplorare, in maniera più profonda, la contraddizione rinchiusa nell’essere umano stesso: la parte esterna, apparentemente tranquilla ed equilibrata, metaforicamente rappresentata dalle riprese rigorose e geometriche del carcere, tende a nascondere quella interna, intricata, tumultuosa, spesso fragile ma certamente difficile da capire, come la mente di chi ha commesso dei reati sessuali.