Altra occasione mancata per il regista M. Night Shyamalan, nonostante le potenzialità fantasy della pellicola
(The Last Airbender) Regia: M. Night Shyamalan – Cast: Noah Ringer, Nicola Peltz, Shaun Toub, Jessica Andres, Aasif Mandvi, Keong Sim, Jackson Rathbone, Dev Patel, Cliff Curtis, Isaac Jin Solstein, Seychelle Gabriel, Randall Duk Kim, Dee Bradley Baker, Katharine Houghton, Ben Cooke, J.W. Cortes – Genere: Avventura, colore, 103 minuti – Produzione: USA, 2010 – Distribuzione: Universal Pictures – Data di uscita: 24 settembre 2010.
Shyamalan è un brand, un marchio, la M del mistero. Che fece il grande botto e poi con lo stesso fragore si inabissò in un mare di mediocrità registica ad alta quota, ovvero con grandi budget e grandi aspettative, parimente deluse.
Con “L’ultimo dominatore dell’aria” ci mette cuore e passione, gestazione lunghissima e storia iper fantasiosa per un risultato al di sotto delle aspettative, che lega salti pindarici degni dell’anime (cartoon manga) da cui è tratto a umanesimo di antica lega, onore e rispetto hanno così poco appeal che l’Avatar protagonista sembra il bimbo d’oro di Eddie Murphy.
Plot colmo di dialoghi, azione ritardata come troppo spesso gli capita e fotografia di serie B, o meglio che scende dal podio quando ci si trova davanti a film di stessa calibro ma fattura diversamente pregiata. La terra si divide in quattro regni come i suoi elementi: acqua, terra, fuoco e aria e ogni popolo ha i suoi “dominatori”, persone speciali che sono in grado di manipolarle, ma quando il fuoco dichiara guerra al mondo, il prescelto-bambino che racchiude i quattro poteri dovrà (imparare a) lottare insieme agli “amici buoni” per il bene dell’umanità.
L’idea che in Shyamalan alberghi una doppia anima si fa largo nei pensieri dello spettatore, ammaliato da alcuni suoi film iniziali e disgustato lo stesso dalle sue ultime opere. Questa pellicola si colloca quasi nel mezzo, ovvero ha moltissimi spunti interessanti, un potenziale che nel filone avrebbe potuto significare qualcosa di importante, ma si perde e sbanda senza capire il ruolo della terza dimensione, ormai sempre più banalizzata e ghettizzata a baraccone anni 80.
La sottocultura di cui si nutre la regia e il soggetto stesso del racconto fanno parte di quel movimento cartooniano generalista e frivolo che troverebbe facilmente passaggio in tv e far scivolare il succitato autore a rango di eterna promessa del cinema fantasy. Almeno usasse uno pseudonimo.
Simone Bracci