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About Endlessness (2019)

Trama

About Endlessness – Recensione: un’opera surreale sulla fragilità dell’essere umano

About Endlessness filmIl regista svedese Roy Andersson, già premiato nel 2014 con il Leone D’Oro per “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”, torna a ottenere un riconoscimento (stavolta il Leone d’Argento) al Festival di Venezia con “About Endlessness”, caratterizzato da una narrazione visionaria, segnata dal pessimismo con un pizzico di ironia messo a caso.

Andersson è uno di quegli autori che non si può certamente definire mainstream. Il suo stile di regia è palesemente ispirato all’arte figurativa, tanto che ogni sua inquadratura sembra un quadro vivente virato nei non colori del grigio. I suoi personaggi sono uomini e donne anziani, ma anche giovani e bambini. Nessuno di loro fa nulla di speciale, eppure a modo loro raccontano la vita nella sua bellezza e crudeltà.

About Endlessness (2019)

In “About Endlessness” viene mostrata una variegata umanità: si inizia dal prete che soffre di incubi ricorrenti e che si consulta con uno psichiatra, cui confida di aver perso la fede; c’è un uomo della strada che palesa il suo mal di vivere a tutti e non ottiene attenzione da nessuno; e non manca qualche quadretto più leggero, come il papà che porta la figlioletta sotto la pioggia a una festa, o una coppia di amanti che volano avvinghiati in un cielo grigio sopra una città distrutta. Tutti gli attori, dal primo all’ultimo, sono truccati in modo surreale stile Kabuki, e si muovono su scenari completamente privi di colore.

About Endlessness: un tableau vivant di grande classe per un pubblico di nicchia

Non è per tutti la visione cinematografica del regista svedese; eppure, il suo lavoro, se visto con una certa attenzione riesce a far pensare lo spettatore. Si potrebbe definire una “meditazione” per la lentezza della narrazione e la profondità del messaggio che lancia. Roy in conferenza stampa al Lido è apparso come un uomo allegro e quasi ottimista. Si è definito vulnerabile e felice di esserlo. In conclusione, anche se i suoi lavori potrebbero apparire indigesti in realtà sono una riflessione in immagini sull’esistenza stessa.

“About Endlessness” va gustato con calma nel contesto giusto e senza alcun preconcetto magari in una fredda serata invernale davanti al caminetto.

Ivana Faranda

Trama

  • Titolo originale: Om Det Oandliga
  • Regia: Roy Andersson
  • Cast: Lesley Leichtweis Bernardi, Ania Nova, Martin Serner
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 90 minuti
  • Produzione: Svezia, 2019

About Endlessness scena filmIl regista svedese Roy Andersson porta in Concorso al Festival di Venezia 2019 un film visionario sulla vita umana in tutte le sue sfaccettature, ottenendo il Leone d’Argento. In un caleidoscopio di immagini di grande qualità si avvicendano uomini e donne alle prese con la vita di tutti i giorni.

Un regista visionario che ama la vita con tutte le sue sfumature

Difficile, forse impossibile, definire in modo canonico il cinema di Roy Andersson, un regista assolutamente originale. Roy Andersson, classe 1943, ha vinto nel 1914 il Leone D’Oro con “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” Nel 1970 ha esordito con “A Swedish Love Story” che si è aggiudicato quattro premi a Berlino. Nel 1976 era a Cannes con “Giliap”, poi si è dedicato per anni alla pubblicità per fondare in seguito una casa di produzione, la Studio 24, per poter realizzare in assoluta libertà i suoi film. Nel 2000, con “Canzoni dal secondo piano”, Gran Premio della Giuria a Cannes, ha inaugurato la trilogia “sull’essere un essere umano” che è proseguita nel 2007 con “You, the Living”, per continuare con “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”.

Andersson è stato allievo di Ingmar Bergman e ha sviluppato negli anni uno stile che fonde pittura e letteratura, umorismo scandinavo e comicità surreale alla Monty Python. Le sue inquadrature sono costruite come se fossero quadri con precise prospettive sulla stessa nota cromatica della scala del grigio e del beige. Il passaggio dal formato 35 mm al digitale che si è consumato con “Un piccione…” ha permesso al regista di espandere ulteriormente la frontiera del suo sperimentalismo visivo aprendola a diverse e inedite sfumature di assurdo.

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