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American Gangster – Recensione

Una pellicola che ricostruisce alla perfezione quella Harlem degli Anni Settanta in cui il gangster Frank Lucas divenne leggenda

(American Gangster) Regia: Ridley Scott – Cast: Russel Crowe, Denzel Washington, Cuba Gooding JR. – Genere: Drammatico, colore, 157 minuti – Produzione: USA, 2007 – Distribuzione: Universal Picture, Imagine Enterteinment – Data uscita: 18 Gennaio 2008.

americangangsterI vincitori del premio Oscar Russel Crowe (“Il Gladiatore”, “Insider – Dietro la verità”) e Denzel Washington (“Training Day”, “Hurricane – Il grido dell’innocenza”) si uniscono al produttore vincitore del premio Oscar Brian Grazer (“A beautiful Mind”, “Cinderella Man – Una ragione per lottare”) e al produttore regista Ridley Scott (“Il Gladiatore”, “Black Hawk Down”) e allo sceneggiatore vincitore del premio Oscar Steven Zaillian (“Schindler’s List”, “Gangs of New York”) per un evento cinematografico che racconta la vera sconvolgente storia di una superstar divenuta leggenda passando dalle strade di Harlem degli anni Settanta al massimo potere, divenendo una delle figure più spregiudicate nel suo ambiente.

La pellicola rappresenta perfettamente l’ambiente di Harlem e New York di quegli anni. Una città colpita dalla guerra del Vietnam e dal traffico di eroina per le strade, duro ricordo di una guerra odiata dall’opinione pubblica. Sotto la guida di Bumpy Johnson, uno dei boss neri del crimine della zona interna della città del dopoguerra, matura Frank Lucas (Washington). Silenzioso e accorto, Lucas, alla morte di Bumpy, sfrutta l’apertura nella struttura del potere per costruire il suo impero personale e creare la sua versione privata di una storia americana di successo. Intrallazzando rapporti con la Tailandia, nel Triangolo d’Oro, Lucas dà vita alla connection che gli permetterà di eliminare tutti i suoi concorrenti, spacciatori di eroina, dal mercato acquistando direttamente alla fonte e offrendo un prodotto più puro. Ma la sua vita è tormentata da Richie Roberts (Crowe), un poliziotto scaltro e duro, abbastanza vicino alla strada per capire che le cose stanno cambiando il loro corso. Intuisce che qualcuno sta scavalcando i ranghi della mafia e sta per dominare la scena. Per quanto siano diversi i due, Roberts e Lucas sono molto vicini, entrambi distanti dai loro colleghi e uniti da un codice rigoroso che li rende lupi solitari nei loro mestieri.

Sotto la grande regia di Ridley Scott il film si carica di realismo grazie alla sua dote naturale di carpire la vita della gente. Dalla Los Angeles del 2019 in “Blade Runner” alla Roma antica di Massimo ne “Il Gladiatore”, Ridley Scott ha forgiato la sua carriera sin dagli inizi nella pubblicità, come un maestro dell’estetica senza compromessi. Il regista offre una New York degli anni Settanta assolutamente veritiera scegliendo prevalentemente la camera a mano e ritrovando scorci dell’Harlem di quel periodo. Tra le migliaia di comparse, vestite ad hoc, i due protagonisti si creano un mondo proprio che si evolve con l’avanzare della pellicola. Le loro vite assumono concretezza e potenza col passare del tempo.

Denzel Washington, in una delle sue migliori interpretazioni, trasmette ondate di emotività del suo personaggio. I suoi sguardi ricercati, la sua serietà e determinazione, che a volte esplode in ire funeste, danno l’esatta immagine di quel personaggio della storia americana che è stato Frank Lucas. Della stessa mole è il personaggio di Russel Crowe. Un poliziotto che mette la legge e l’ordine al di sopra di ogni cosa e persona, addirittura della famiglia. Sfrenatamente contro la corruzione dei potenti come poliziotti, avvocati e politici, Crowe dà una splendida interpretazione di un poliziotto scontroso, burbero e non adatto al dialogo, quasi a imporsi come antitesi del carismatico Lucas.

L’aurea interpretativa di Crowe sembra però affievolirsi sotto la luce che irradia Washington grazie anche al tributo che ha dato il vero Frank Lucas durante le riprese. Seduto sulla sedia a rotelle ricordava i momenti suggeriti dal set e descriveva persone e ambienti della sua vita. Il regista ha saputo ricostruire quell’Harlem di cui parla il vero Frank Lucas e ha ricreato anche tutte quelle persone che sono state vicine a Lucas.

Il film offre più di 30 ruoli fondamentali oltre i due interpreti principali, tra cui Nicky Barnes (Cuba Gooding Jr) che rappresenta il maggior nemico di Lucas nel traffico dell’eroina.

Il lavoro di ricerca dei sosia per le comparse e per le parti secondarie è stato ingente ed ha portato alla realizzazione di alcune scene straordinarie in cui si ha difficoltà a discernere le immagini reali da quelle girate. La colonna sonora ha contribuito a questo realismo dell’epoca grazie al supervisore delle musiche Kathy Nelson che spiega “Harlem era sia la musica che la droga, che qualsiasi altra cosa stesse succedendo. La scena musicale stava esplodendo, particolarmente per quel che riguardava il R&B e il Funk”. La pellicola girata prevalentemente a New York ma anche in Tailandia e Long Island, sembra vivere degli anni Settanta in tutte le sue forme, dall’ambiente alle persone alla mafia. “American Gangster” è stato definito un film epico, ai livelli del “Il Padrino”.

Jacopo Lubich

American Gangster – Recensione

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